Titolo: Chiedi alla Luna
Titolo originale: The shock of the fall
Autore: Nathan Filer
Traduttore: Aglae Pizzone
Editore: Feltrinelli
Pagine: 320
Data di pubblicazione: 05 Maggio 2013
ISBN: 9788807030437
Prezzo: 17.00 €
Sinossi:
Matthew Homes ha nove anni. Adora passare le vacanze al camping con la
famiglia e mettersi le scarpe da ginnastica, anche se la mamma d'estate
lo obbliga a usare le infradito dato che fa caldo e gli sudano i piedi.
Ha un fratello, Simon, di tre anni più grande, anche se tutti si
comportano come se fosse più piccolo. Perché Simon è un po' diverso
dalle persone che si incontrano normalmente: frequenta una scuola
speciale per via di un disturbo di cui Matt non ricorda mai il nome, ma
che si trova nei libri di medicina. Matt e Simon si vogliono bene: Matt
adora la faccia tonda e sorridente del fratello, tonda come la luna.
Giocano spesso insieme, e Simon segue Matt in tutte le sue avventure. Ma
dopo quell'estate, l'estate dell'incidente a Ocean Cove, nulla sarà più
come prima. Matt dovrà affrontare un segreto così enorme e terribile da
non poterlo confessare a nessuno, spingendolo a chiudersi sempre più in
se stesso. E mentre, anno dopo anno, la realtà perderà i suoi confini
diventando sempre più estranea e costringendolo a farsi ricoverare in un
centro per disturbi mentali, Matt avrà solo un pensiero in cui trovare
conforto e grazie al quale ricominciare a lottare: il ricordo della
faccia tonda e sorridente di suo fratello, tonda come la luna.
E' capitato a tutti e ancora ci capiterà, di dover affrontare la perdita di una persona a noi molto cara. Come la si affronta, la morte? E' una domanda che mi pongo da sempre perché io, ad esempio, la perdita delle persona a cui voglio bene la affronto malissimo. Mi è stato detto che per superare ogni evento, bisogna capire il motivo per cui è avvenuto, solo così si riuscirà a dargli un senso, a superarlo e ad affrontarlo. Peccato che io, alla morte, un senso non riesca proprio a darglielo. Mai.
Matthew è arrivato a casa Homes come fratello minore, tre anni dopo Simon, ma siccome il maggiore è un bambino un po' diverso dagli altri, di fatto è Matt il fratello maggiore che bada a Simon, che sta attento a non farlo stancare, che cerca di coinvolgerlo in situazioni pericolose che potrebbero essergli fatali.
Un'estate a Ocean Cove, però, cambia le cose.
Il pomeriggio di un giorno come tanti, Matt sta giocando a nascondino con gli amici fino a quando non assiste al funelare e alla sepoltura di una bambola. Incuriosito, il bimbo si avvicina alla ragazzina che sta compiendo quello strano rito e comincia a fare domande che, però, non trovano risposta.
E' la curiosità non soddisfatta che di notte lo spinge a svegliare Simon e a costringerlo a seguirlo nel punto esatto dove sta la piccola tomba della bambola col cappotto giallo.
Tutto questo ce lo racconta un Matthew ormai diciannovenne che passa le sue giornate tra il suo appartamento e il centro diurno dove deve recarsi ogni giorno per essere tenuto sotto controllo e dove gli vengono somministrate le medicine necessarie a tenere sotto controllo la sua malattia.
Perché quella notte a Ocean Cove ha cambiato per sempre la vita della famiglia Homes ed ha aperto nella mente di Matt una via in cui una vecchia tara familiare si è fatta strada e si è accomodata, pronta a manifestarsi sotto forma di voce di Simon.
Un esordio potente quello di Filer che tratta con delicatezza temi quali la malattia mentale, la Sindrome di Down e dei rapporti di vita che si instaurano tra le persone affette da queste malattie e chi, invece, vive una vita normale.
Sicuramente è stato il suo lavoro di infermiere presso un centro di malattie mentali e il suo ruolo di ricercatore nel dipartimento di psichiatria dell'Università di Bristol che lo hanno agevolato in questa narrazione, ma penso che ci voglia anche una grossa sensibilità per affrontare in questo modi temi come quelli che lui racconta, così come per svolgere i lavori che Filer svolge.
Molto particolare è anche lo stile che viene usato per narrare le vicende di Matthew e che, per certi aspetti, mi ha ricordato la sperimentazione che fa Foer quando scrive i suoi libri.
L'insieme di tutte queste cosa ha fatto sì che Chiedi alla luna sia diventato un romanzo che tocca corde intime dell'animo con una delicatezza e una sensibilità che rendono ancora più forte e potente questo romanzo e ciò che trasmette.
Nel cuore di Manhattan, in un
grattacielo moderno firmato Mies Van Der Rohe, negli uffici di una casa
editrice decisamente glamour, tre ragazze svolgono con distratta grazia
il loro lavoro, sognando di conquistare tutto quello che ogni giovane
donna può desiderare, all'alba degli anni Cinquanta, a New York: "the
best of everything", il meglio della vita, il meglio di ogni cosa. In
interni dalle geometrie déco, che sembrano quadri di Mondrian, si
aggirano Caroline Bender, una ragazza di buona famiglia che spera di far
carriera prima che il suo giovane amico si decida a sposarla, e la
candida April Morrison, una ragazza texana la cui innocenza sfiora la
più disarmante ingenuità. Le due giovani donne in carriera fanno
amicizia e si trasferiscono in un appartamento comune nel centro di
Manhattan insieme alla collega Gregg Adams, che diviene presto il terzo
membro del trio dopo aver messo al corrente Caroline e April dei suoi
disperati tentativi di introdursi nel feroce milieu di Broadway e di
sedurre David Savage, affascinante sceneggiatore playboy.
Mi capita sempre, ogni volta che mi ritrovo tra le mani un libro che mi travolge e che ho scoperto per puro caso tra gli scaffali di una libreria, di pensare a quanto sia strano il mondo delle case editrici e il loro marketing. Non scopro l'acqua calda se vi porto alcuni esempi di libri brutti che sono apparsi in ogni vetrina, di cui hanno fatto anche pubblicità in tv e di cui ci ritroviamo la copertina e super slogan su ogni giornale e praticamente in ogni dove. E poi, per puro caso, mentre ti fai un giro alla Feltrinelli in un grosso centro commerciale, vedi un romanzo che spunta, con un titolo accattivante, una copertina bellissima e leggi che è ambientato a New York all'inizio degli anni '50, che le protagoniste sono giovani donne che si affacciano alla vita, che lavorano in una casa editrice e non puoi fare a meno di comprarlo e iniziare a leggerlo immediatamente. Poi ne vieni travolta come non ti capita da tanto tempo, guardi su aNobii e vedi che sono solo in 89 ad averlo letto, su internet le recensioni si contano sulle dita di una mano e ti ritrovi a chiederti "Perché alcuni libri che non andrebbero nemmeno usati come ferma porta vengono messi sotto il naso di tutti senza ritegno, mentre altri decisamente più meritevoli restano nascosti nell'ombra?".
So che è una domanda che non mi pongo solo io e che rimarrà senza una risposta plausibile, ma io sono polemica e ogni tanto devo polemizzare.
The Best of Everything è il titolo originale di questo romanzo, Il meglio di tutto. E' questo quello che ci si aspetta dalla vita quando, poco più che diciottenni, ci si affaccia alla vita adulta. Ora come allora si pensa di avere il mondo in pugno, si vuole mordere la vita e realizzare ogni sogno nel cassetto, anche il più piccolo.
Ed è per questo che Caroline, Gregg, Mary Agnes, Brenda e April si trasferiscono a New York e vanno a lavorare alla Fabian, importante casa editrice con sede in città. Hanno tutte finito da poco il liceo e si stanno affanciando, un po' timide, nel mondo degli adulti.
Il loro sogno più grande è quello di trovare un uomo, un principe azzurro che sappia amarle, che le porti via da quel lavoro che è solo momentaneo e che dia loro dei figli da amare e crescere come vuole la società. E anche chi, come Caroline, preferisce fare carriera e percorrere, gradino dopo gradino, la scala del successo, è inevitabilmente combattuta tra lo "sto bene da sola" e il "mi sento incompleta senza un uomo".
Le conosciamo all'inizio del 1952 e, attraverso le pagine che scorrono sotto i nostri occhi senza che quasi ce ne accorgiamo, le lasciamo a malincuore a dicembre del 1954 tutte cresciute, tutte molto cambiate, tutte segnate dalle esperienze che hanno vissuto e le hanno fatte crescere in questi due anni.
Dove ci sono le donne non possono di certo mancare gli uomini che affollano le pagine di questo romanzo e che dovrebbero essere i sostegni di queste cinque ragazze all'apparenza fragili. E, invece, veniamo a scoprire presto che una donna può piegarsi fino all'estremo ma mai spezzarsi, mentre un uomo è incline a scappare prima che sia troppo tardi, a darsi fino ad un certo punto e mai completamente perché non vuole più soffire, a dirsi soddisfatto delle proprie scelte perché la ragazza che amava si presentava in un modo e invece viene a scoprire che era tutto in un altro, senza però fermarsi a pensare che è stato proprio lui ad influenzare determinate scelte.
Certo, qualcuno è anche in grado di prendersi le proprie responsabilità, di avere il coraggio di ammettere che la propria vita non è poi così perfetta come si vuol credere e dare una svolta a tutto per cambiare le cose. Ma prima qualcuno ha dovuto soffrire.
Alla fine del libro c'è una postfazione che racconta come sia nato il romanzo e un po' della vita dell'autrice. Tra le altre cose, viene anche detto che questo romanzo appartiene al genere chick lit, definizione assai litimativa e anche un po' offensiva a mio avviso.
Questo romanzo non è assolutamente un libricino da quattro soldi che racconta le avventure di cinque sgallettate in modo che altrettante sgallettate lo possano comprare per passare un po' di tempo a leggere. Queste pagine non lasciano il tempo che trovano, anzi, ti portano a riflettere sulla vita di ieri e di oggi. E, cosa molto strana per me, pur non condividendo il pensiero di tutte le protagoniste, e cioè che una donna è completa solo se ha un uomo accanto, l'ho letto senza mai provare fastidio, senza mai sentire nascere e crescere l'antipatia verso una delle cinque protagoniste. Mi sono entrate tutte quante nel cuore e lì le porterò per un bel po' di tempo, insieme alle loro avventure e disavventure, alle loro sofferenze e alle loro felicità, ai loro odi e ai loro amori.