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venerdì 7 giugno 2013

Chiedi Alla Luna - Nathan Filer

Titolo: Chiedi alla Luna
Titolo originale: The shock of the fall
Autore: Nathan Filer
Traduttore: Aglae Pizzone
Editore: Feltrinelli
Pagine: 320
Data di pubblicazione: 05 Maggio 2013
ISBN: 9788807030437
Prezzo: 17.00 €


Sinossi:
Matthew Homes ha nove anni. Adora passare le vacanze al camping con la famiglia e mettersi le scarpe da ginnastica, anche se la mamma d'estate lo obbliga a usare le infradito dato che fa caldo e gli sudano i piedi. Ha un fratello, Simon, di tre anni più grande, anche se tutti si comportano come se fosse più piccolo. Perché Simon è un po' diverso dalle persone che si incontrano normalmente: frequenta una scuola speciale per via di un disturbo di cui Matt non ricorda mai il nome, ma che si trova nei libri di medicina. Matt e Simon si vogliono bene: Matt adora la faccia tonda e sorridente del fratello, tonda come la luna. Giocano spesso insieme, e Simon segue Matt in tutte le sue avventure. Ma dopo quell'estate, l'estate dell'incidente a Ocean Cove, nulla sarà più come prima. Matt dovrà affrontare un segreto così enorme e terribile da non poterlo confessare a nessuno, spingendolo a chiudersi sempre più in se stesso. E mentre, anno dopo anno, la realtà perderà i suoi confini diventando sempre più estranea e costringendolo a farsi ricoverare in un centro per disturbi mentali, Matt avrà solo un pensiero in cui trovare conforto e grazie al quale ricominciare a lottare: il ricordo della faccia tonda e sorridente di suo fratello, tonda come la luna.

E' capitato a tutti e ancora ci capiterà, di dover affrontare la perdita di una persona a noi molto cara. Come la si affronta, la morte? E' una domanda che mi pongo da sempre perché io, ad esempio, la perdita delle persona a cui voglio bene la affronto malissimo. Mi è stato detto che per superare ogni evento, bisogna capire il motivo per cui è avvenuto, solo così si riuscirà a dargli un senso, a superarlo e ad affrontarlo. Peccato che io, alla morte, un senso non riesca proprio a darglielo. Mai.

Matthew è arrivato a casa Homes come fratello minore, tre anni dopo Simon, ma siccome il maggiore è un bambino un po' diverso dagli altri, di fatto è Matt il fratello maggiore che bada a Simon, che sta attento a non farlo stancare, che cerca di coinvolgerlo in situazioni pericolose che potrebbero essergli fatali.
Un'estate a Ocean Cove, però, cambia le cose.
Il pomeriggio di un giorno come tanti, Matt sta giocando a nascondino con gli amici fino a quando non assiste al funelare e alla sepoltura di una bambola. Incuriosito, il bimbo si avvicina alla ragazzina che sta compiendo quello strano rito e comincia a fare domande che, però, non trovano risposta.
E' la curiosità non soddisfatta che di notte lo spinge a svegliare Simon e a costringerlo a seguirlo nel punto esatto dove sta la piccola tomba della bambola col cappotto giallo.
Tutto questo ce lo racconta un Matthew ormai diciannovenne che passa le sue giornate tra il suo appartamento e il centro diurno dove deve recarsi ogni giorno per essere tenuto sotto controllo e dove gli vengono somministrate le medicine necessarie a tenere sotto controllo la sua malattia.
Perché quella notte a Ocean Cove ha cambiato per sempre la vita della famiglia Homes ed ha aperto nella mente di Matt una via in cui una vecchia tara familiare si è fatta strada e si è accomodata, pronta a manifestarsi sotto forma di voce di Simon.

Un esordio potente quello di Filer che tratta con delicatezza temi quali la malattia mentale, la Sindrome di Down e dei rapporti di vita che si instaurano tra le persone affette da queste malattie e chi, invece, vive una vita normale.
Sicuramente è stato il suo lavoro di infermiere presso un centro di malattie mentali e il suo ruolo di ricercatore nel dipartimento di psichiatria dell'Università di Bristol che lo hanno agevolato in questa narrazione, ma penso che ci voglia anche una grossa sensibilità per affrontare in questo modi temi come quelli che lui racconta, così come per svolgere i lavori che Filer svolge.
Molto particolare è anche lo stile che viene usato per narrare le vicende di Matthew e che, per certi aspetti, mi ha ricordato la sperimentazione che fa Foer quando scrive i suoi libri.
L'insieme di tutte queste cosa ha fatto sì che Chiedi alla luna sia diventato un romanzo che tocca corde intime dell'animo con una delicatezza e una sensibilità che rendono ancora più forte e potente questo romanzo e ciò che trasmette.

lunedì 27 maggio 2013

Il Meglio della Vita - Rona Jaffe

Titolo: Il meglio della vita
Titolo originale: The Best of Everything
Autore: Rona Jaffe
Traduttore: M. Bonetti
Editore: Beat
Pagine: 543
Data di pubblicazione: 20 Marzo 2012
ISBN: 9788865590812
Prezzo: 9.00 €


Sinossi:
Nel cuore di Manhattan, in un grattacielo moderno firmato Mies Van Der Rohe, negli uffici di una casa editrice decisamente glamour, tre ragazze svolgono con distratta grazia il loro lavoro, sognando di conquistare tutto quello che ogni giovane donna può desiderare, all'alba degli anni Cinquanta, a New York: "the best of everything", il meglio della vita, il meglio di ogni cosa. In interni dalle geometrie déco, che sembrano quadri di Mondrian, si aggirano Caroline Bender, una ragazza di buona famiglia che spera di far carriera prima che il suo giovane amico si decida a sposarla, e la candida April Morrison, una ragazza texana la cui innocenza sfiora la più disarmante ingenuità. Le due giovani donne in carriera fanno amicizia e si trasferiscono in un appartamento comune nel centro di Manhattan insieme alla collega Gregg Adams, che diviene presto il terzo membro del trio dopo aver messo al corrente Caroline e April dei suoi disperati tentativi di introdursi nel feroce milieu di Broadway e di sedurre David Savage, affascinante sceneggiatore playboy.

Mi capita sempre, ogni volta che mi ritrovo tra le mani un libro che mi travolge e che ho scoperto per puro caso tra gli scaffali di una libreria, di pensare a quanto sia strano il mondo delle case editrici e il loro marketing. Non scopro l'acqua calda se vi porto alcuni esempi di libri brutti che sono apparsi in ogni vetrina, di cui hanno fatto anche pubblicità in tv e di cui ci ritroviamo la copertina e super slogan su ogni giornale e praticamente in ogni dove. E poi, per puro caso, mentre ti fai un giro alla Feltrinelli in un grosso centro commerciale, vedi un romanzo che spunta, con un titolo accattivante, una copertina bellissima e leggi che è ambientato a New York all'inizio degli anni '50, che le protagoniste sono giovani donne che si affacciano alla vita, che lavorano in una casa editrice e non puoi fare a meno di comprarlo e iniziare a leggerlo immediatamente. Poi ne vieni travolta come non ti capita da tanto tempo, guardi su aNobii e vedi che sono solo in 89 ad averlo letto, su internet le recensioni si contano sulle dita di una mano e ti ritrovi a chiederti "Perché alcuni libri che non andrebbero nemmeno usati come ferma porta vengono messi sotto il naso di tutti senza ritegno, mentre altri decisamente più meritevoli restano nascosti nell'ombra?".
So che è una domanda che non mi pongo solo io e che rimarrà senza una risposta plausibile, ma io sono polemica e ogni tanto devo polemizzare.

The Best of Everything è il titolo originale di questo romanzo, Il meglio di tutto. E' questo quello che ci si aspetta dalla vita quando, poco più che diciottenni, ci si affaccia alla vita adulta. Ora come allora si pensa di avere il mondo in pugno, si vuole mordere la vita e realizzare ogni sogno nel cassetto, anche il più piccolo.
Ed è per questo che Caroline, Gregg, Mary Agnes, Brenda e April si trasferiscono a New York e vanno a lavorare alla Fabian, importante casa editrice con sede in città. Hanno tutte finito da poco il liceo e si stanno affanciando, un po' timide, nel mondo degli adulti.
Il loro sogno più grande è quello di trovare un uomo, un principe azzurro che sappia amarle, che le porti via da quel lavoro che è solo momentaneo e che dia loro dei figli da amare e crescere come vuole la società. E anche chi, come Caroline, preferisce fare carriera e percorrere, gradino dopo gradino, la scala del successo, è inevitabilmente combattuta tra lo "sto bene da sola" e il "mi sento incompleta senza un uomo".
Le conosciamo all'inizio del 1952 e, attraverso le pagine che scorrono sotto i nostri occhi senza che quasi ce ne accorgiamo, le lasciamo a malincuore a dicembre del 1954 tutte cresciute, tutte molto cambiate, tutte segnate dalle esperienze che hanno vissuto e le hanno fatte crescere in questi due anni.
Dove ci sono le donne non possono di certo mancare gli uomini che affollano le pagine di questo romanzo e che dovrebbero essere i sostegni di queste cinque ragazze all'apparenza fragili. E, invece, veniamo a scoprire presto che una donna può piegarsi fino all'estremo ma mai spezzarsi, mentre un uomo è incline a scappare prima che sia troppo tardi, a darsi fino ad un certo punto e mai completamente perché non vuole più soffire, a dirsi soddisfatto delle proprie scelte perché la ragazza che amava si presentava in un modo e invece viene a scoprire che era tutto in un altro, senza però fermarsi a pensare che è stato proprio lui ad influenzare determinate scelte.
Certo, qualcuno è anche in grado di prendersi le proprie responsabilità, di avere il coraggio di ammettere che la propria vita non è poi così perfetta come si vuol credere e dare una svolta a tutto per cambiare le cose. Ma prima qualcuno ha dovuto soffrire.

Alla fine del libro c'è una postfazione che racconta come sia nato il romanzo e un po' della vita dell'autrice. Tra le altre cose, viene anche detto che questo romanzo appartiene al genere chick lit, definizione assai litimativa e anche un po' offensiva a mio avviso.
Questo romanzo non è assolutamente un libricino da quattro soldi che racconta le avventure di cinque sgallettate in modo che altrettante sgallettate lo possano comprare per passare un po' di tempo a leggere. Queste pagine non lasciano il tempo che trovano, anzi, ti portano a riflettere sulla vita di ieri e di oggi. E, cosa molto strana per me, pur non condividendo il pensiero di tutte le protagoniste, e cioè che una donna è completa solo se ha un uomo accanto, l'ho letto senza mai provare fastidio, senza mai sentire nascere e crescere l'antipatia verso una delle cinque protagoniste. Mi sono entrate tutte quante nel cuore e lì le porterò per un bel po' di tempo, insieme alle loro avventure e disavventure, alle loro sofferenze e alle loro felicità, ai loro odi e ai loro amori.

sabato 25 maggio 2013

Il male ero io - Pietro Maso

"Talvolta ci vuole coraggio anche a vivere."
 Seneca
Quando ho saputo che Maso era in procinto di pubblicare un libro, la prima cosa che ho pensato è stata che fosse la solita trovata per fare un sacco di soldi con la banalità del male.
E invece in questo libro di banale non c'è niente, nemmeno il male. Che è così complicato, al punto tale da mimetizzarsi nelle sfaccettature del nichilismo e della disperazione.
Pietro racconta semplicemente quello che è accaduto, senza mai cercare una giustificazione e soprattutto senza mai levarsi di dosso un grammo di responsabilità.
E tu sei lì, che leggi, inizialmente scettica, e pensi che è troppo facile parlare dopo aver scelto la via più semplice. Ma poi, quando ti piombano addosso il dolore e il senso di vuoto, inizi a pensare che forse la via non era così semplice. Eh no, lo era soltanto in apparenza.
Pietro racconta di Maso, diciannove anni e la volontà assoluta di non volere vivere una vita come quella dei suoi genitori: dodici ore di lavoro al giorno nei campi, non c'è spazio per divertirsi e per prendersi una pausa da se stessi, nemmeno per parlare del più e del meno.
E allora ci prova, vuole fare il grande, vuole diventare qualcuno, assomigliare agli americani in tv di Miami Vice. Si crea il suo personaggio, si fa rispettare e diventa quella piccola divinità a cui si stende il tappeto rosso e si baciano le mani. Ma dopo aver buttato al vento venticinque milioni di vecchie lire, arriva il momento di doverli restituire. Ed è qui che il Male diventa Maso.
Non voglio raccontare la storia, la conosciamo tutti. E non voglio nemmeno giustificarlo.
E' il "dopo", che diviene essenziale: è il percorso di Maso che deve rinascere e imparare a vivere con la sua colpa. Deve tornare a essere Pietro, e basta.
Il percorso di redenzione sarà difficile e ventidue anni di carcere per alcuni saranno pochi, per altri troppi.
Ma la vera punizione è riuscire a vivere con la consapevolezza di ciò che è stato fatto. E' dover sopravvivere a se stessi, riuscire a trovare una ragione per non cadere nell'abisso e sprofondare.
Io penso solo che Dostoevskij avesse ragione: "Non c'è niente di più facile che condannare un malvagio, niente di più difficile che capirlo."

mercoledì 22 maggio 2013

La Piccola Dea della Fertilità - Paul Mesa

Titolo: La piccola dea della fertilità
Titolo originale: Die kleine Gottin der Fruchtbarkeiit
Autore: Paul Mesa
Traduttore: V. Rancati - M. P. Romero
Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 243
Data di pubblicazione: 12 Marzo 2013
ISBN: 9788820053475
Prezzo: 15.90 €


Sinossi:
Bianca ha ventisei anni, fa la cameriera in un albergo in Germania ed è così piccolina - è alta solo un metro e quarantanove - che la madre l'ha soprannominata Bica, che in portoghese vuol dire "caffè molto, molto ristretto". Come quello che preparava la sua mamma, Maria: lei veniva dal Portogallo e non solo custodiva la ricetta segreta della miscela più buona del mondo, ma sapeva anche scavare nell'animo degli uomini semplicemente osservando il modo in cui bevevano il loro caffè. Maria è morta da tredici giorni, eppure a Bica sembra ancora di sentire la sua voce. E in effetti lei, non esattamente entusiasta di essere defunta, è proprio lì, seduta sul suo divano rosso, intenta come sempre a dispensare alla sua bambina preziosi consigli sulla felicità. Bica ne ha proprio bisogno, perché è alla ricerca del Grande Amore (anche se il suo cuore continua imperterrito a battere solo per Galao, rozzo, prepotente e sposatissimo), ma soprattutto vuole un figlio a ogni costo, altrimenti la sua mamma non riuscirà ad andarsene. Così narra una leggenda portoghese: se i tuoi genitori muoiono senza che tu abbia dato loro un nipotino, non arriveranno mai in Paradiso. E per questo che Bica, quando riordina le stanze, buca tutti i preservativi che trova nei cassetti dei comodini: non si sa mai... Ma, pur contenta del "misterioso" ritorno della mamma, Bica è anche preoccupata: c'è infatti un segreto che Maria non deve scoprire, un segreto legato proprio alla sua morte...

Non so se lo sapete (nel qual caso lo scoprirete adesso) che, quasi ogni venerdì, la casa editrice Sperling & Kupfer organizza sulla sua pagina facebook un contest fotografico il cui premio sono i suoi libri. E' un'idea carina e simpatica e, oltre alla possibilità di vincere dei libri, offre anche l'opportunità di conoscere qualche sua pubblicazione.
Senza quel contest credo non sarei venuta a conoscenza dell'esistenza di questo romanzo e forse sarebbe stato decisamente meglio.
Comunque mi ispirava e non averlo vinto mi aveva intristita un po', così il sabato mentre passeggiavamo per Verona, abbiamo visto una Feltrinelli, siamo entrati, mio marito l'ha scorto su uno scaffale e me lo ha regalato.

A parte la copertina che non mi piace e il titolo originale che, non conoscendo il tedesco, non posso contestare, questo libro mi ispirava perché parla di caffè, bevanda che io adoro alla follia, al punto da esserne quasi drogata.
La protagonista, Bianca, è conosciuta da tutti come Bica che è il nome con cui a Lisbona indicano un caffè che è simile all'espresso ma ha un gusto più morbido rispetto ad esso per via della tostatura.
Noi la incontriamo che lavora come cameriera in un albergo tedesco, circa due settimane dopo la morte di sua mamma Maria, innamoratissima di uomo che lei chiama Galao (altro tipo di caffè portoghese) con cui ha avuto un'avventura durata il tempo di un amplesso e che è sposato con una donna che, qualche giorno dopo, si presenta in albergo accusando la proprietaria di gestire un bordello nel quale si aggirano, tra l'altro, dei pedofili.
Mentre rassetta le camere, Bianca cerca nei cassetti e tra le cose dei temporanei inquilini i loro preservativi e li buca con l'ausilio di una piccolissima siringa. Perché? Semplice: lei sperava a tutti i costi di rimanere incinta dopo l'avventura con Galao così che sua madre potesse riposare in pace ma, non essendoci riuscita, pensa di poter dare il riposo eterno alla genitrice improvvisandosi dea della fertilità e facendo in modo che altre donne diventino madre.
Lo stesso giorno del j'accuse, Bica torna in camera e trova il fantasma di Maria che si aggira per la camera senza ricordarsi di essere morta e si convince ancora di più che la colpa sia sua e del fatto che, essendo così piccola (è alta appena 1.49 cm), non possa portare in grambo un figlio.
Da qui parte tutta una storia insensata che vede Bica spiare Galao, la moglie di lui lanciare dal nulla accuse all'albergo (almeno così pare a noi lettori che ci troviamo quattro frasi buttate lì in mezzo al resto, senza spiegazione né approfondimento), Maria che non capisce come mai la figlia la tenga chiusa in camera. Insomma, un'accozzaglia di informazioni prese e buttate in un pentolone, girate alla veloce con un cucchiaio di legno e per nulla insaporite e legate tra loro da spiegazioni chiarificatrici e fili logici concatenati.

Se non si fosse ancora capito questo libro non mi è piaciuto assolutamente perché la storia è completamente insignificante e banale e non posso nemmeno dire che a non avermi convinta sia lo stile dell'autore e che la storia in se avrebbe del potenziale, perché non è così.
Non c'è senso in quello che viene raccontato, non c'è empatia con i protagonisti e coinvolgimento emotivo circa i fatti narrati, ci si ritrova spesso a chiedersi "ma questo cosa c'entra?", "e questo da dove salta fuori?", "questo cosa come va a finire?", "ma perché?!".
Insomma, libro e autore bocciati su tutta la linea.

lunedì 20 maggio 2013

Educazione siberiana - Nicolai Lilin

Titolo: Educazione siberiana
Autore: Nicolai Lilin
Editore: Einaudi
Pagine: 343
Data di pubblicazione: 15 Marzo 2010
ISBN: 9788806202569
Prezzo: 12.50 €

Sinossi:
Cosa significa nascere, crescere, diventare adulti in una terra di nessuno, in un posto che pare fuori dal mondo? Pochi forse hanno sentito nominare la Transnistria, regione dell'ex Urss autoproclamatasi indipendente nel 1990 ma non riconosciuta da nessuno Stato. In Transnistria, ai tempi di questa storia, la criminalità era talmente diffusa che un anno di servizio in polizia ne valeva cinque, proprio come in guerra. Nel quartiere Fiume Basso si viveva seguendo la tradizione siberiana e i ragazzi si facevano le ossa scontrandosi con gli "sbirri" o i minorenni delle altre bande. Lanciando molotov contro il distretto di polizia, magari: "Quando le vedevo attraversare il muro e sentivo le piccole esplosioni seguite dalle grida degli sbirri e dai primi segni di fumo nero che come fantastici draghi si alzavano in aria, mi veniva da piangere tanto ero felice". La scuola della strada voleva che presto dal coltello si passasse alla pistola. "Eravamo abituati a parlare di galera come altri ragazzini parlano del servizio militare o di cosa faranno da grandi". Ma l'apprendistato del male e del bene, per la comunità siberiana, è complesso, perché si tratta d'imparare a essere un ossimoro, cioè un "criminale onesto". Con uno stile intenso ed espressivo, anche in virtù di una buona ma non perfetta padronanza dell'italiano, a tratti spiazzante, con una sua dimensione etica, oppure decisamente comico, Nicolai Lilin racconta un mondo incredibile, tragico, dove la ferocia e l'altruismo convivono con naturalezza.

Devo confessarvi subito una cosa. Anzi, due.
Questo romanzo mi attira da quando è uscito, ma da quando è uscito mi respinge anche. Mi spiego: da quando è uscito l'ho preso in mano in libreria, al supermercato, in autogrill, in tutti i posti in cui si posso trovare dei libri insomma, così tante volte che se avessi letto ogni volta una decina di pagine lo avrei finito senza acquistarlo. Ma non l'ho mai letto, non ho mai avuto il coraggio perché volevo sapere, ma avevo anche paura di ciò che avrei potuto trovare tra le sue pagine.
La seconda cosa che devo confessarvi è che l'ho letto (perché me lo hanno regalato al compleanno) solo dopo aver visto il film che mi è piaciuto un sacco. E pure più del libro.
Ecco, l'ho detto. Ora vi ho confessato davvero tutto.

L'inizio della sinossi che ho sopra scritto dice "Cosa significa nascere, crescere, diventare adulti in una terra di nessuno, in un posto che pare fuori dal mondo?"
Ed è spinta da questa domanda e dalla curiosità che si prova sempre qualcosa di sconosciuto e così lontano da noi, che ho deciso di farmi coraggio e immergermi in questa cultura così distante da noi, una cultura fatta di leggi proprie, leggi strane, leggi che per noi sono a volte del tutto inconcepibili.
Nicolai Lilin ci racconta la sua educazione siberiana e la sua vita a Fiume Basso, tra delinquenza, violenza e armi di ogni genere.
Quando l'ho finito, cinque giorni fa, ho dato di getto la votazione massima su aNobii. Poi, però, ci ho riflettuto ed ho cambiato opinione perché il libro è decisamente interessante, racconta in modo molto vivido e senza mezzi termini la vita in una comunità criminale (che io continuo a definire sui generis), ma lo fa in un modo talmente prolisso e, a volte, talmente dettagliato, che quasi esaspera e stufa.
Non è un brutto romanzo, ma se avete visto il film e avete deciso di leggerlo per quello, aspettatevi tutta un'altra cosa.
Se, invece, siete titubanti e non sapete se leggerlo o meno, non so proprio cosa consigliarvi...

Il mio Salone del Libro al profumo di amicizie e di caffè

Vado al Salone del Libro di Torino da quando ho dieci anni. A quei tempi leggere non mi piaceva per nulla, ma mio papà mi ci portava lo stesso tutti gli anni e mi spiegava cosa significa leggere, mi raccontava quello che provava lui ogni volta che si immergeva in un libro, quando faceva la conoscenza di nuovi personaggi, come faceva a sopportare quelli che gli stavano più antipatici, insomma, cercava di spiegarmi la magia che si crea ogni volta che si pare un libro.
Io lo ascoltavo rapita e giravo per gli stand in cerca del libro che mi avrebbe trascinata in quel mondo parallelo e mi scoraggiavo ogni volta perché non lo trovavo. Allora mio papà mi ripeteva sempre "Non importa, arriverà. Magari l'anno prossimo, magari tra un mese, chissà".
E quando, qualche anno dopo è arrivato IL libro, per il portafoglio di mio papà fino a che non ho avuto uno stipendio mio e per il mio successivamente, è stata la rovina.
Da quando ho dieci anni, quindi, ogni anno partecipo a questo straordinario e magnifico evento e, ogni anno, mi porto dietro un ricordo ed un'esperienza diversa che è cambiata e cresciuta con me.

Quest'anno è il primo anno che vado al Salone come blogger e sono stata un disastro! Perché venerdì ho preso la macchina fotografica, pronta a documentare con le immagini il salone, ma, una volta entrata lì dentro, mi sono dimenticata di tutto: della macchina fotografica, del telefono cellulare sempre connesso ad internet, del pranzo!
Mi succede sempre così quando sono alla fiera in mezzo a tutti quei libri, mi succede che mi dimentico di ogni cosa pratica e mi perdo completamente tra tutti quei libri ed in mezzo al loro profumo. Lo so, è un discorso da invasati, ma non ci posso fare nulla, i libri mi fanno questo effetto.

Altra novità di quest'anno è che sono andata due giorni invece che uno solo ed ho scoperto che è decisamente comodo perché il primo giorno ho gironzolato e mi sono guardata intorno, il secondo giorno sono andata decisa a cercare quello che m'interessava.
E poi ho conosciuto la mitica Chiara, la stupenda Leggivendola, la splendida Camilla e le meravigliose Francesca e Federica. E' stato davvero davvero bello conoscere di persona queste blogger che seguo con piacere e passeggiare per gli stand parlando di libri e consigliandoceli a vicenda.

Siccome ho un'amica che adoro ma che è un po' permalosa, rivedo e correggo il post aggiungendo che venerdì è stata una giornata bellissima anche perché ho rivisto la mia adoVata Sonia (se non si fosse capito, quando definisco adoVato qualcuno per me è ammmore!), le ho fatto da taxi da Caselle al Salone e sono stata in sua compagina fino all'ora di tornare a casa, stanche morte ma felici.

Venerdì ho anche seguito Paolo Nori e la presentazione del suo libro "La banda del formaggio" che adesso voglio assolutissimamente leggere, ma che non ho comprato venerdì perché avevano esaurito tutte le copie e sabato perché avevo già comprato decisamente tanti libri (tanti, non troppi, perché i libri non sono mai troppi!).

Sabato di nuovo al Salone con il mio adoVato marito, ma solo nel pomeriggio e solo una toccata e fuga, giusto per tornare agli stand delle piccole case editrici che ho scoperto grazie al blog e che apprezzo decisamente tanto. Ho conosciuto il personale della Astoria con cui ho chiacchierato sia venerdì che sabato, poi sono stata dalla Jo March e mi è dispiaciuto tanto non potermi fermare per sentire la conferenza con Dorfles e, infine, sono passata allo stand della Spartaco Edizioni che ho conosciuto tramite twitter, ma di cui non avevo mai letto nulla. Con loro c'era l'autore Paolo Pasi che mi ha consigliato un suo libro di racconti e il suo ultimo romanzo e che mi ha scritto su entrambi due dediche bellissime.
Sempre sabato ho incrociato Roberto Saviano, blindatissimo dalla sua scorta e seguito da una folla immensa. Poi, mentre aspettavamo che spiovesse un pochino visto che c'era il diluvio universale, stavo rimirando i miei acquisti e Saviano, cha passava di lì, si è fermato un attimo a chiedermi cosa avevo comprato. Non potete nemmeno immaginare l'emozione! Non abbiamo potuto chiacchierare molto, ma siamo riusciti a dirgli quanto ammiriamo il suo coraggio e il suo lavoro e vedere il suo sorriso e sentire il suo grazie sincero è stato bellissimo.

Una volta passato il rossore e il batticuore (non sto esagerando, non avete idea di quanto fossi emozionata e agitata!) siamo usciti per andare alla macchina e ci siamo avviati verso il centro di Torino, diretti in via Roma al negozio Nespresso per comprare una nuova super macchina del caffè come regalo d'anniversario (anche se con una settimana di ritardo) e come premio per Alberto che mi ha sopportata sabato.
Ciliegina sulla torta, mentre passeggivamo tranquilli sotto i portici di Via Po' guardando le bancarelle dei libri usati, con una estrema botta di lato B abbiamo trovato una copia di "Inferno" di Dan Brown a 10.00 €. Non sono una grande fan di questo autore, però ho letto tutti i precedenti tre libri con protagonista Langdon e avevo intenzione di leggere anche quest'ultimo. Non avevo però intenzione di spendere 25.00 € e siamo stati fortunati a trovarlo nuovo e a posto a quel prezzo.

Insomma, sono stati due giorni bellissimi in cui ho conosciuto e chiacchierato con ragazze splendide, in cui mi sono divertita ed emozionata e in cui ho comprato un po’ di libri.

Ecco la foto dei miei acquisti:



mercoledì 15 maggio 2013

Salone Internazione del Libro di Torino 2013


E finalmente domani sarà il gran giorno. Domani, giovedì 16 maggio, alle 11.30 verrà tagliato il nastro e si darà ufficialmente il via alla 26esima edizione del Salone Internazione del Libro di Torino.
Penso che praticamente ogni appassionato di libri aspetti con ansia, ogni anno, l'arrivo di questa manifestazione e come si può darci torto? Veniamo catapultati per cinque giorni in un universo parallelo racchiuso tra le mura del Lingotto Fiere che si popola di libri, decine di migliaia di libri, di scrittori, editori e lettori.
Quello che mi emoziona sempre e forse più di ogni altra cosa è vedere tutti questi lettori, concentrati tutti insieme in quello spazio relativamente grande (o piccolo, dipende dai punti di vista). Mi emoziona perché vuol dire che, nonostante tutti i sondaggi che saltano periodicamente fuori, qualcuno che ancora legge, che si emoziona e si perde tra le pagine di un libro, c'è ancora.

L'anno scorso mi sono sposata proprio il sabato della fiera del libro e, seppur abbia provato in tutti i modi ad andarci di venerdì (ho anche supplicato le mie amiche di organizzare un addio al nubilato alternativo, ma non mi hanno ascoltato!), non ce l'ho fatta. Avevo davvero troppe cose da fare e sistemare per il giorno dopo.
Quest'anno quindi sarò una specie di drogata in crisi di astinenza che si aggirerà spiritata in mezzo agli stand cercando di non dare troppo nell'occhio e non sembrare troppo pazza e troppo invasata.
Un altro motivo che mi porta a non veder l'ora di andare è che rivedrò la mia adoVata Sonia ed incontrerò e conoscerò alcune blogger che seguo e che stimo e, insomma, non vedo l'ora!

Quest'anno, per la prima volta, mi sono fatta un elenco dei libri che vorrei acquistare così da svuotare un po' la mia infinita e spropositata wish list (gli altri anni, invece, andavo molto ad istinto: se un libro mi ispirava era mio) e, grazie a quella figata di app inventata ad hoc per l'occasione, ho stilato in digitale un elenco di tutte le case editrici di cui voglio visitare lo stand. Mi rammarico solo del fatto che, lavorando di sabato mattina, mi perderò alcuni eventi a cui tenevo tantissimo, in particolare l'incontro con David Grossman.

Per concludere, spero che abbiate anche voi la possibilità di partecipare a questo splendido evento. Io ci sarò sia venerdì più o meno tutto il giorno e sabato pomeriggio. Non ho pensato ad alcun segno di riconoscimento, ma se vedrete un campanello chiassoso e spiritato, saprete subito dovre trovarmi.

venerdì 10 maggio 2013

La Briscola in Cinque - Marco Malvaldi

Titolo: La briscola in cinque
Autore: Marco Malvaldi
Editore: Sellerio
Pagine: 163
Data di pubblicazione: 01 Gennaio 2007
ISBN: 9788838922190
Prezzo: 12.00 €

Sinossi:
La rivalsa dei pensionati. Da un cassonetto dell'immondizia in un parcheggio periferico, sporge il cadavere di una ragazza giovanissima. Siamo in un paese della costa intorno a Livorno, l'immaginaria Pineta, "diventata località balneare di moda a tutti gli effetti, e quindi la Pro Loco sta inesorabilmente estinguendo le categorie dei vecchietti rivoltandogli contro l'architettura del paese: dove c'era il bar con le bocce hanno messo un discopub all'aperto, in pineta al posto del parco giochi per i nipoti si è materializzata una palestra da body-building all'aperto, e non si trova più una panchina, solo rastrelliere per le moto". L'omicidio ha l'ovvio aspetto di un brutto affare tra droga e sesso, anche a causa della licenziosa condotta che teneva la vittima, viziata figlia di buona famiglia. E i sospetti cadono su due amici della ragazzina nel giro delle discoteche. Ma caso vuole che, per amor di maldicenza e per ammazzare il tempo, sul delitto cominci a chiacchierare, discutere, contendere, litigare e infine indagare il gruppo dei vecchietti del BarLume e il suo barista. In realtà è quest'ultimo il vero svogliato investigatore. I pensionati fanno da apparato all'indagine, la discutono, la spogliano, la raffinano, passandola a un comico setaccio di irriverenze. Sicché, sotto all'intrigo giallo, spunta la vita di una provincia ricca, civile, dai modi spicci e dallo spirito iperbolico, che sopravvive testarda alla devastazione del consumismo turistico modellato dalla televisione.

Martedì mattina, dopo essere stata dal medico causa tendinite acuta al piede destro ed essere passata in farmacia a prendere i cerotti all'ibuprofene, che, detto tra noi, lasciano un po' il tempo che trovano, mi sono concessa un meritato caffè nel bar pasticceria del mio paese.
Mentre arrancavo zoppicando verso il bancone, ho notato due simpatiche vecchiette sedute al tavolino più tattico di tutto il locale: quello che fa angolo con le due vetrine che si affacciano sulla piazza ed è pure di fianco alla porta d'ingresso. Riassunto in breve: una vista a 360° sulla vita del paese.
Il giorno dopo, quando ho iniziato a leggere La briscola in cinque, ho ripensato con un sorrisso a quelle due signore che reincarnavano, in tutto e per tutto, l'allegra combriccola di vecchini che si appostano tutto il giorno al BarLume in quel di Pineta.

Nonno Ampelio, il Del Tacca, Aldo e il Rimediotti si apposta tutti i giorni della loro vita ai tavolini del bar di Massimo, nipote di Ampelio, e passano le giornate a giocare a carte e a farsi i fatti degli altri. Figuriamoci cosa non succede quando, una mattina d'estate, un ragazzo del tutto sbronzo entra nel bar di Massimo che sta rassettando il locale per chiuderlo e andare a casa a dormire e gli chiede di usare il telefono. Il barrista glielo indica e ascolta la conversazione che, più o meno, fa così: "C'è una ragazza morta in un cassonetto... sì, sono ubriaco, ma c'è davvero una ragazza morta nel cassonetto... hanno riattaccato".
Massimo, pur essendosi fatto un'idea chiara della quantità di alcol che circola nelle vene del ragazzo, decide di dargli retta e si fa accompagnare nel parcheggio della pineta per verificare lui stesso che un cadavere c'è davvero. E lo trova.
Comincia così un'indagine di polizia, congiunta con le scoperte di Massimo e i pettegolezzi della banda della briscola del BarLume.

Inutile starvi a precisare che quello che ne viene fuori è un romanzo davvero spassoso e divertente che si legge in poco tempo e col sorriso sulle labbra.
Mi è piaciuto davvero davvero tanto questo piccolo libro anche perché è ambientato in Toscana, in un paese di mare, che mi ricorda tanto la mia amata Viareggio e il fatto che i dialoghi tra i vecchietti siano scritti nella parlata toscana, non ha fatto altre che aumentare il mio entusiasmo. Mio marito è di origine toscana e martedì sera ci siamo messi a leggere insieme i dialoghi ad alta volce: è stato spassosissimo!
Comunque, a parte questi scorci di vita domestica, io vi consiglio di leggerlo, sia che amiate i gialli sia che non li amiate, perché in realtà il delitto è solo lo spunto da cui parte quel contorno spassoso e divertente che solo la vita in un piccolo paese, con i suoi pensionati pettegoli, può creare.

mercoledì 8 maggio 2013

Recensioni in pillole, perché ne ho accumulati un po' troppi.

Titolo: Borgo Propizio
Autore: Loredana Limone
Editore: Guanda
Pagine: 280
Data di pubblicazione: 09 Maggio 2012
ISBN: 9788860886576
Prezzo: 16.50 €

Sinossi:

Tutto ruota attorno a una latteria, che la giovane Belinda vuole aprire nel centro di un delizioso paesino medievale. Certo, il paesino più che delizioso sembra sonnolento, a causa di una giunta comunale poco attiva; certo, nel negozio che Belinda sta ristrutturando si dice aleggi la presenza di un fantasma. Ma la ragazza vuol cambiar vita a tutti i costi, per superare il divorzio dei suoi, per riprendersi da una delusione amorosa, per rompere con tanti legami. La circonda una folla di personaggi divertenti e scombinati, sinceri e misteriosi... come la vita.

Avevo finito di leggere Middlesex e mi serviva una lettura leggera e poco complicata per rilassare un po' la mente, così mi è venuta in aiuta Sonia che mi ha consigliato di leggere Borgo Propizio. Ammetto di aver storto un pochino il naso perché avevo sentito parlare di questo romanzo, ma non è che mi ispirasse più di tanto e lo avevo degnato di poca considerazione. In ogni caso ho accettato la proposta pensado che, al massimo, lo avrei stroncato oppure abbandonato.
E invece mi sono dovuta ricredere.
Loredana Limone ci racconta una favola non del c'era una volta, ma del c'è una volta perché quello che accade a Borgo Propizio e ai suoi abitanti è quello che accade tutti i giorni nella vita di ognuno di noi.
Ci sono le pettegole sempre dalla finestra ad osservare ogni movimento, pronte ad attaccarsi al telefono per chiamare l'amica di chiacchiere e raccontarle di aver appena visto Mariolina salire sulla macchina di un uomo; c'è Marietta che, a casa, aspetta preoccupata l'arrivo della sorella che è sempre così puntuale e che di solito chiama quando fa tardi; c'è Belinda che ama il latte a tal punto da volerne fare la sua fonte di sostentamento perché è stanca di lavorare in ufficio dove tutti sono contro tutti e aspettano solo il momento buono per farti le scarpe; e poi ci sono Cesare e Claudia che si amano da tutta la vita ma hanno momentaneamente perso la bussola e devo cercare, con un piccolo aiuto, di ritrovarla.
Dicevo poc'anzi che ero scettica perché pensavo di avere tra le mani una storia un po' inconsistente, una favola tutta "cuore, sole, amore" che, per carità, è tanto bella, ma anche tanto utopica. E, invece, la Limone scrive il suo c'è una volta con tanto di lieto fine e non perde mai di vista realtà che sta nelle piccole cose, che è fatta sì di batticuore, ma anche di scontri e discussioni con la persona amata, di baci e abbracci e di nuove scaramucce.
Un romanzo molto molto carino che si legge in un soffio e ci strappa più di un sorriso. Tutto questo permettendoci di mantenere i piedi sempre ben saldi a terra.

Titolo: La pazienza dei bufali sotto la pioggia
Titolo originale: La patience des buffles sous la pluie
Autore: David Thomas
Editore: Marcos y Marcos
Pagine: 173
Data di pubblicazione: 20 Marzo 2013
ISBN: 9788871686585
Prezzo: 13.00 €

Sinossi:
Questo libro racconta molte storie in poche righe, perfette per i viaggi in autobus, aspettando un amico, la mattina bevendo il caffè. Sono storie che per magia si espandono, escono dalla pagina, chiamano proprio te. Donne e uomini assai diversi si fanno avanti uno per uno. Con energia e onestà assoluta, proclamano una speranza, una vergogna, un desiderio, un dolore. Quando sembrano rimproverarti qualcosa, dici no, non sei tu, tu non ti comporti così. Non sei la donna che ha venti uomini all'attivo e ha già adocchiato il ventunesimo, o quella che la notte si abbarbica al suo uomo come a un salvagente, non sei lo scrittore che abbindola le donne con una montagna di balle, l'uomo che non ha ancora trovato un modo dignitoso per infilarsi le mutande. Quando ti confidano di avere idee fisse che ronzano in testa senza mai dare tregua, o di scoppiare di gioia perché finalmente sono rimasti soli, o di non poterne più di essere buffi, ti fanno davvero simpatia. Questi scorci di vita, queste confessioni pulsanti, colgono alla perfezione un certo aspetto di un collega, di tua madre, del vicino. Intanto ti accorgi che il cerchio si stringe. Ti aspetta una storia che c'entra molto con te.

E' da quando ho finito di leggere questa raccolta di racconti che penso a come recensirla, perché mi trovo un po' in difficlotà. Non che non valga la pena di leggerla, anzi. E' proprio perché in poche parole, poche pagine queste storie raccontate da Thomas riescono a trasmettere un sacco di emozioni e ti portano a riflettere molto e molto a fondo.
Mi trovo in difficoltà perché so che non tutti amano leggere i racconti e io vorrei che anche chi di solito non li apprezza, provasse a leggere questo libro, perché è davvero incredibile ciò che l'autore riesce a raccontare usando così poco spazio su una pagina.
Siccome io con le mie parole non sono sicura di riuscire a convincervi, vi lascio due dei racconti contenuti in questa raccolta, due dei tanti che mi hanno colpita più di altri.









mercoledì 1 maggio 2013

Acqua agli elefanti - Sara Gruen

Titolo: Acqua agli elefanti
Titolo originale: Water for Elephants
Autore: Sara Gruen
Editore: Neri Pozza
Pagine: 384
Data di pubblicazione: 2007
ISBN: 9788854501843
Prezzo: 17.00 €

Sinossi: Sono gli anni Trenta negli Stati Uniti, l'epoca della Grande Depressione, la più grave crisi mai vissuta dalla nazione americana. Sono anche gli anni, però, in cui ha inizio una singolare "grandeur": quella dei circhi itineranti che attraversano in lungo e in largo il paese col loro strabiliante carico di donne-cannone, nani, mostri e animali esotici. In uno di questi circhi capita un giorno Jacob, studente di veterinaria in fuga da tutto e da tutti dopo l'improvvisa morte dei genitori. In quel bizzarro mondo, Jacob se ne starebbe tranquillamente al suo posto se due seducenti figure non lo turbassero profondamente: un turbamento pericoloso, visto che le due figure (di cui la seconda è un'elefantessa) sono in balia del sadico direttore, prime vittime della sua gelosia, dei suoi instabili umori e della sua inarrestabile violenza.

Ho adorato questo libro, prestatomi da Francesca (♥). E' qualcosa di indescrivibile che vale assolutamente la pena leggere. La storia è dolce, romantica, ma anche drammatica. La narrazione scivola tra le mani e viene sempre più voglia di sapere cosa succede, come finirà. 
E poi è un ritratto perfetto degli anni americani della Grande Depressione, della vita nei circhi più famosi... le gioie e i dolori, la fatica, il sudore. 
Jacob, protagonista del romanzo, racconta la sua speciale storia alla veneranda età di 90 o 93 anni, come lui ama tanto dire. Marlena, il suo grande amore, è una donna fragile ma al tempo stesso forte, da proteggere e da amare, ma che sa dare tanto amore a lui e soprattutto agli animali, la loro passione comune.
Molto particolare è anche il rapporto che si instaura tra Rosie, gigante elefantessa, e Jacob... un fascino misterioso e ancestrale che mostra come a volte l'istinto prenda il sopravvento su ogni cosa.
Non perdetevelo! 

lunedì 29 aprile 2013

Per essere felici bisogna trovare la varietà nella ripetizione, per andare avanti bisogna tornare indietro dove si è cominciato.

Titolo: Middlesex
Titolo originale: Middlesex
Autore: Jeffrey Eugenides
Editore: Mondadori
Pagine: 602
Data di pubblicazione: 21 Ottobre 2008
ISBN: 9788804584360
Prezzo: 11.00 €


Sinossi:
Calliope Stephanides, detta Callie e poi Cal, è una bambina come le altre, o così crede, ma un giorno scopre che nel suo Dna si nasconde un gene misterioso che attraversa come una colpa tre generazioni della sua famiglia e ora si manifesta in lei. Callie è colpita da un'"eccentricità biologica" che fa di lei un raro ermafrodito. E da qui ha inizio la sua odissea. Un viaggio travagliato nel cuore di un passato che nasconde i segreti del suo destino. Tra furbi imprenditori e ciarlatani, tra sagge donne di casa e improbabili leader religiosi, in un vorticoso alternarsi di matrimoni, nascite e scandali. Dalla Turchia del crollo dell'Impero Ottomano all'America del proibizionismo, dai conflitti razziali alla controcultura, dal Vietnam al Watergate, Jeffrey Eugenides ci restituisce un mondo scintillante e drammatico in cui il senso del destino e l'eredità familiare si mescolano e si oppongono alla volontà di essere artefici di se stessi, di dar voce ai propri desideri, alla propria sessualità, ai propri sentimenti.

Come mi succede tutte le volte che leggo un romanzo di Eugenides, i primi capitoli mi servono per entrare in sintonia con lui, con la storia che scrive, con il suo modo di narrare. Non mi capita mai di iniziare a leggere qualcosa di suo e venirne travolta immediatamente. Mi ci va un attimo, devo acclimatarmi e ambientarmi tra le pagine della sua storia.
E nemmeno con Middlesex è stato diverso, anzi, forse è stato ancora più faticoso questa volta, complice anhce la settimana passata in cui avevo un impegno a sera e il tempo per leggere era davvero risicato. Infatti si posso tranquillamente confessare di aver letto circa duecento pagine tra lunedì e venerdì e di averci dato dentro sabato e domenica.

Il protagonista di questo romanzo è Calliope Stephanides, nata femminuccia e scopertasi ermafrodito. Ovviamente questa scoperta le cambierà la vita ed è per questo che, passati i quarant'anni, decide di raccontare la propria storia e quella della propria famigla inevitabilmente legata alla Storia della Grecia, paese originario dei suo nonni.

Non voglio svelarvi di più della trama perché vi toglierei il piacere di scoprire tutto da soli, anche se le cose salienti vi verranno rivelate praticamente subito.
Quello che vi posso assicurare e che vi troverete tra le mani una storia densa, forse a volte anche troppo, emozionale e intensa che vi toglierà il fiato e vi travolgerà.
Dato l'argomento che Eugenides ha deciso di trattare, questo libro poteva essere un'emerita boiata oppure un capolavoro e, secondo me, riestra senza ombra di dubbio nella seconda opzione. Perché la storia di Cal viene raccontata con una delicatezza quasi poetica, i disagi che questa anomalia genetica provoca nel protagonista non ricadono mai nel piagnisteo, nel banale e nel patetico.
Vi consiglio di leggerlo e di non farvi intimorire dalla mole perché a fine lettura ne sarete arricchiti in un modo che pochi libri riescono a fare.

lunedì 22 aprile 2013

Accabadora - Michela Murgia

Titolo: Accabadora
Autore: Michela Murgia
Editore: Einaudi
Pagine: 164
Data di pubblicazione: 01 Gennaio 2009
ISBN: 9788806197803
Prezzo: 18.00 €

Sinossi:
La Sardegna degli anni Cinquanta è un mondo antico sull'orlo del precipizio. Maria ha sei anni ed è appena diventata "figlia d'anima" dell'anziana Bonaria Urrai, secondo l'uso campidanese che consente alle famiglie numerose di compensare le sterilità altrui attraverso una adozione sulla parola; il patto tacito è che la figlia acquisirà lo status di erede, ma in cambio promette di prendersi cura della madre adottiva nei bisogni della vecchiaia. La bambina è inizialmente convinta che Bonaria Urrai faccia la sarta, e infatti le giornate sono segnate dallo scorrere nella bottega casalinga di una umanità paesana, fatta di piccole miserie e di relazioni costruite di gesti e di sguardi, molto più che di parole. Accettata come normale dal paese, l'adozione solidale tra la vecchia e la bambina si consolida malgrado lo sfaldarsi circostante delle antiche certezze. Attraverso lo sguardo privilegiato della bambina che cresce, le contraddizioni tra il vecchio e il nuovo emergono via via più evidenti: nell'esperienza della scuola dell'obbligo, e in quella del confronto tra la fede cristiana e i retaggi di una religiosità assai più antica nel tempo.

E anche in questo caso, come per Gomorra, leggo e recensisco il romanzo parecchio tempo dopo la sua uscita.
Se nel caso del libro di Saviano il mio aspettare era legato al successo immediatamente esploso, nel caso di questo romanzo la mia reticenza era dovuta al fatto che pensavo di trovare tra le pagine una storia che non mi sarebbe piaciuta. Perché? Per quegli assurdi pregiudizi che ogni tanto si figurano nella mente del lettore dopo aver letto la trama di un libro; idee che saltano fuori dall'interpretazione di un riassunto e che rimangono lì fino a che non ci si decide a leggerlo, quel libro.
E anche per me e per Michela Murgia è arrivato il momento di incontrarsi.

Nella Sardegna degli anni '50, terra di usanze e superstizioni radicate, Maria diventa figlia d'anima di Bonaria Urria, anziana donna mai sposatasi e senza figli. Diventare figlia d'anima significa che Maria diventa figlia acquisita di Bonaria. Questa usanza permette alle famiglie numerose di compensare la sterilità altrui attraverso un'adozione che si basa solo ed esclusivamente sulla parola data. In questo modo la figlia acquisirà lo status di erede, ma in cambio promette di prendersi cura della madre adottiva nei bisogni della vecchiaia.
Per Maria l'inizio di questa nuova vita è una rinascita: in casa propria era nessuno, un peso aggiunto a spalle che di portare zavorre aggiunte non ne avevano voglia. Bonaria invece la tratta come una persona, la chiama per nome, le insegna a cucire e a smettere di rubare. L'unica cosa strana in questo menage famigliare qualsi perfetto è che l'anziana donna ogni tanto, di notte, esce senza dare spiegazioni e rientra a mattina quasi fatta. La bambina prova a chiedere spiegazioni, ma non ne riceve nessuna e così anche questa stranezza diventa parte del quotidiano fino al terribile giorno in cui la verità verrà fuori e porterà Maria a prendere la decisione di trasferirsi a Torino.

Come dicevo più sopra, mi aspettavo un libro completamente diverso, meno scorrevole e talmente impregnato della cultura sarda da risultare di difficile lettura a chi sardo non è. Ed invece mi sono trovata tra le mani una storia di amore e amicizia tra una donna anziana ed una bambina raccontata in modo delicato e poetico, che mi ha catturata e da cui sono rimasta estremamente colpita.
Le superstizioni e la vita nei piccoli paesini sardi degli anni cinquanta ci sono eccome, però svengono inserite in modo magistrale e non rendono la lettura pesante o incomprensibile a chi in Sardegna non ci è nato e di quella terra conosce poco o nulla.
Insomma, una scoperta tardiva ma molto molto piacevole che consiglio a chi, come me, ancora non l'ha letta.

PS scusate la recensione venuta fuori un po' così, ma è da questa mattina alle undici che sono qui davanti allo schermo a scriverla e cancellarla, che alla fine ho raffazzonato un po' di pensieri e sensazioni qua e la e li ho buttati giù alla bell'è meglio.
Credo che l'unico modo per capire il motivo di questa mia difficoltà sia leggere il libro, perché trasmette così tanto che è difficile da spiegare a parole. 

domenica 21 aprile 2013

Meditazione letteraria....

Ultimamente sto facendo tanta fatica a ritagliarmi degli spazi per leggere e dopo averci messo quasi un mese (il mio record assoluto!) per leggere un libro, sono arrivata alla conclusione che non posso forzarmi a leggere libri che trascino a fatica.
E così, sono qui a condividere con voi dei pensieri un po' cupi che mi assalgono (sarà anche questa brutta e cattiva pioggia?) riguardo a un paio di letture intraprese recentemente.

Dopo aver impiegato un'eternità per leggere "Il Simbolo Perduto" di Dan Brown, tutto ciò che la mia mente-quasi-bacata ha appreso dal romanzo è che il modo di dire "fare il terzo grado", deriva da particolari rituali di origine massonica. Per il resto, ho già dimenticato tutto! Ma dov'è finito il Dan Brown che mi piaceva tanto?
Come ha fatto a scrivere sta palla di piombo incatenata al piede? :(
Tristezza a valanghe e delusione cocente!
Robert Langdon è diventato un bambolotto senza un briciolo di iniziativa e personalità, gli altri protagonisti sembrano tutti sull'orlo di una crisi di nervi. La suspence mi ha fatto addormentare nei punti salienti e le pagine erano una ripetizione unica di concetti, parole, aggettivi, verbi. "Massoni....bla bla...società segreta... bla bla. Crisi mondiale!"
E io lì, che cercavo di sopravvivere alle 600 pagine, senza cedere alla tentazione di fabbricare tante zzzzZzzzZzzzZzzz, detto alla Jonathan Safran Foer - per ricollegarci al pensiero cupo che tra poco vi espongo.
Dan, per favore... che il prossimo sia un po' più leggibile!

Pensiero cupo numero due: perchè non riesco a leggere "Ogni cosa è illuminata" del sopracitato J.S. Foer?

Jonathan, un giovane ebreo statunitense, si reca in Ucraina alla ricerca di Augustine, la donna che salvò la vita a suo nonno durante le deportazioni naziste. Armato di una fotografia che ritrae suo nonno e Augustine, Jonathan inizia così la sua ricerca della città fantasma di Trachimbrod, lo shtetl dove suo nonno viveva all'epoca, distrutto dai nazisti durante la guerra e perciò scomparso dalle mappe. Nel suo viaggio è accompagnato da una guida locale, Aleksandr (Alex), con il quale stringerà presto amicizia, e dallo strambo nonno di Alex, che dichiara continuamente di essere cieco (ma in realtà ci vede benissimo), e quindi si fa condurre dal proprio cagnolino, Sammy Davis Junior Junior.

 Ci ho provato due volte, e ognuna è fallita. Ho apprezzato veramente moltissimo "Molto forte, incredibilmente vicino", ma al contrario con "Ogni cosa è illuminata" non c'è proprio feeling. Forse sono io che sono troppo limitata di vedute per leggerlo in questo momento, ma lo trovo poco scorrevole. Non tanto per la parte dell'avventura di Jonathan, Alex e il nonno, quanto per la parte che riguarda Trachimbrod. Quindi, se qualcuno di voi l'ha letto.. potrebbe illuminarmi? :)

sabato 20 aprile 2013

Il dolore è insensato. Come l'amore.

Titolo: L'acustica perfetta
Autore: Daria Bignardi
Editore: Mondadori
Pagine: 200
Data di pubblicazione: 30 Ottobre 2012
ISBN: 9788804616214
Prezzo: 18.00 €

Sinossi:
Arno e Sara si incontrano da ragazzini e istintivamente si amano. Un pomeriggio d'estate lei lo lascia, dicendogli che "le piacciono gli amori infelici". Si ritrovano molti anni dopo, decidono di sposarsi: sono allegri, innamorati, sembrano felici. Arno è convinto di darle tutto se stesso e non si spiega le malinconie e le bugie che affiorano poco a poco. In fondo, la sua vita gli piace così com'è: suona il violoncello alla Scala, ha avuto tre figli dalla donna della sua vita, non si fa domande. Ma il disagio di Sara col tempo aumenta, finché una mattina Arno non sarà costretto da un evento inconcepibile a chiedersi chi è davvero la persona con cui ha vissuto tredici anni, la donna che ama da sempre. Con titubanza, inizia a seguire una pista di ferite giovanili e passioni soffocate e, con crescente sgomento, ritrova il bandolo di storie insospettabili. Può una donna restare con un uomo che pensa di amarla ma non ha mai voluto conoscerla davvero? Può un uomo accettare che sua moglie non si fidi di lui? Si può vivere senza esprimere se stessi? E come incide il dolore nelle nostre vite? Abbiamo tutti le stesse carte in mano?

Ho finito pochi minuti fa di leggere questo romanzo e sono stata indecisa per qualche secondo se scrivere subito o lasciare sedimentare il tutto. E poi ho deciso di buttare giù una recensione a caldo perché a volte stare a riflettere troppo, a rimuginare, non va nemmeno troppo bene.

Protagonisti di questa storia sono Arno e Sara, un uomo e una donna che si sono conosciuti da ragazzini e si sono innamorati, poi si sono allontanati e persi di vista per poi ritrovarsi ormai trentenni. Rivedendosi pare che tra loro l'amore non sia mai finito, soprattutto per Arno che non ha mai dimenticato Sara, l'ha sempre sognata, pensata, rimpianta. Si rincontrano una sera, per caso, a Milano e riprendono da dove avevano lascaito. Poi si sposano e hanno dei figli e, per tredici anni, la loro vita prosegue normale, cullata dal tran tran quotidiano che regola le giornate di una famiglia con tre figli.
Poi, una mattina, esattamente quattro giorni prima di Natale, Arno si sveglie e non trova più Sara. La cerca per casa e quello che trova è solo una lettera in cui gli dice che se n'è andata perché ha bisogno di stare da sola, di prendere le distanze da quella quotidianità che le sta stretta. La prima reazione del marito è di incredulità: non può essere che la sua Sara lo abbia lasciato, è impossibile che quella moglie e madre perfetta abbia compiuto un gesto tanto sconsiderato. Sarà solo uno scherzo, tornerà sicuramente a casa, in fondo manca poco al Natale.
Ma quando i giorni diventano settimane e le settimane diventano mesi, quando anche la rabbia è passata, Arno è costretto a guardare in faccia la realtà e affrontare il problema. Verrà a scoprire di non conoscere sua moglie, si renderà conto di aver vissuto con un'estranea e dovrà fare i conti anche, e soprattutto, con se stesso.

L'acustica perfetta è il terzo romanzo che Daria Bignardi scrive, ma è il primo che leggo, perché, di tutti e tre, è quello che mi ha ispirato di più. Ammiro e stimo molto lei come giornalista ma ho sempre storto un po' il naso di fronte alla sua scelta di diventare scrittrice e, dopo aver letto questo suo lavoro, ho avuto la conferma che i miei non fossero solo pregiudizi.
Attenzione, non sto dicendo che scriva male o che questo sia un romanzo pessimo, sconsigliato e da non leggere, però è un romanzo in cui manca qualcosa, quel qualcosa che ti fa affezionare ai protagonisti, che ti coinvolge completamente nella storia, che ti fa dimenticare che esiste anche un mondo intorno oltre a te e al romanzo che stai leggendo.
E credo che questo dipenda dal fatto che la scrittura, curata e magistrale, lo sia al punto da risultare quasi asettica. Come si diceva ieri parlando di questo libro con Strat from scratch, la Bignardi è un'ottima gioralista, molto razionale e, quando diventa scrittrice, questa razionalità non la perde. Il risultato è un romanzo scritto in modo eccellente ma le cui vicende non coinvolgono totalmente ed incondizionatamente il lettore.
Per lo meno, non hanno coinvolto totalmente me.

giovedì 18 aprile 2013

Gomorra - Roberto Saviano

Titolo: Gomorra
Autore: Roberto Saviano
Editore: Mondadori
Pagine: 331
Data di pubblicazione: 01 Gennaio 2006
ISBN: 9788804554509
Prezzo: 15.50 €

Sinossi:
Questo incredibile, sconvolgente viaggio nel mondo affaristico e criminale della camorra si apre e si chiude nel segno delle merci, del loro ciclo di vita. Le merci "fresche", appena nate, che sotto le forme più svariate - pezzi di plastica, abiti griffati, videogiochi, orologi - arrivano al porto di Napoli e, per essere stoccate e occultate, si riversano fuori dai giganteschi container per invadere palazzi appositamente svuotati di tutto, come creature sventrate, private delle viscere. E le merci ormai morte che, da tutta Italia e da mezza Europa, sotto forma di scorie chimiche, morchie tossiche, fanghi, addirittura scheletri umani, vengono abusivamente "sversate" nelle campagne campane, dove avvelenano, tra gli altri, gli stessi boss che su quei terreni edificano le loro dimore fastose e assurde - dacie russe, ville hollywoodiane, cattedrali di cemento e marmi preziosi - che non servono soltanto a certificare un raggiunto potere ma testimoniano utopie farneticanti, pulsioni messianiche, millenarismi oscuri. Questa è oggi la camorra, anzi, il "Sistema", visto che la parola "camorra" nessuno la usa più: da un lato un'organizzazione affaristica con ramificazioni impressionanti su tutto il pianeta e una zona grigia sempre più estesa in cui diventa arduo distinguere quanta ricchezza è prodotta direttamente dal sangue e quanta da semplici operazioni finanziarie. Dall'altro lato un fenomeno criminale profondamente influenzato dalla spettacolarizzazione mediatica, per cui i boss si ispirano negli abiti e nelle movenze a divi del cinema e a creature dell'immaginario, dai gangster di Tarantino alle sinistre apparizioni de "Il corvo" con Brandon Lee. Figure come Gennarino McKay, Sandokan Schiavone, Cicciotto di Mezzanotte, Ciruzzo 'o Milionario, se non avessero provocato decine di morti ammazzati potrebbero sembrare in tutto e per tutto personaggi inventati da uno sceneggiatore con troppa fantasia. In questo libro avvincente e scrupolosamente documentato Roberto Saviano ha ricostruito sia le spericolate logiche economico-finanziarie ed espansionistiche dei clan del napoletano e del casertano, da Secondigliano a Casal di Principe, sia le fantasie infiammate che alle logiche imprenditoriali coniugano il fatalismo mortuario dei samurai del medioevo giapponese. Ne viene fuori un libro anomalo e potente, appassionato e brutale, al tempo stesso oggettivo e visionario, di indagine e di letteratura, pieno di orrori come di fascino inquietante, un libro il cui giovanissimo autore, nato e cresciuto nelle terre della più efferata camorra, è sempre coinvolto in prima persona. Sono pagine che afferrano il lettore alla gola e lo trascinano in un abisso dove davvero nessuna immaginazione è in grado di arrivare.

E finalmente, dopo anni di ritardo, dopo mille esitazioni e ripensamenti, anch’io ho letto Gomorra di Roberto Saviano.
Perché ci ho messo così tanto ad accostarmi a questo libro? In primis perché quando un libro appena uscito suscita il successo che ha suscitato questo, seppur m’incuriosisca e abbia voglia di leggerlo, aspetto ad acquistarlo perché non mi piace farmi trascinare dall’entusiasmo. E poi avevo bisogno di farmi un’idea mia su Roberto Saviano, personaggio assai controverso, che io trovo personalmente molto coraggioso e che ammiro per il suo atto di denuncia. Se non avessi avuto una ditta di famiglia o se avessi scelto di non lavorare qui, avrei voluto fare il procuratore anti mafia, quindi apprezzo il lavoro di denuncia di questo ragazzo e di chi, come lui e prima di lui, lo ha fatto.
Però confesso che non mi piace come usano lui e il suo nome: l’hanno mitizzato, ne hanno fatto un santino (passatemi il termine, è per farvi capire cosa intendo) e lo tirano fuori dei loro portafogli come e quando fa comodo a loro. E questo me lo rende un po’ antipatico ogni tanto.

Per quanto riguarda Gomorra, ho deciso di fare una recensione un po’ diversa perché tanto è già stato detto e molto è già stato scritto. Per cui ho pensato di far parlare il libro stesso al posto mio riportando alcune delle citazioni più significative e che più mi hanno fatto riflettere.
Non è pigrizia la mia, semplicemente non voglio cadere nel ridondante o nelle banalità, rischio molto elevato per entrambe le cose visto che di camorra me ne intendo poco e visto che arrivo dopo anni a parlarvi di questo romanzo.

Si crede stupidamente che un atto criminale per qualche ragione debba essere maggiormente pensato e voluto rispetto a un atto innocuo. In realtà non c'è differenza. I gesti conoscono un'elasticità che i giudizi etici ignorano.

Crepare a quindici anni in questa periferia sembra scontare una condanna a morte piuttosto che essere privati della vita.

C'erano poliziotti in borghese che cercavano di stare lontano dalle navate. Tutti li avevano riconosciuti, ma non c'era spazio per scaramucce. In chiesa riuscii subito a individuarli; o meglio loro individuarono me, non trovando sul mio viso traccia del loro archivio mentale. Come per venire incontro alla mia cupezza uno di questi mi si avvicinò dicendomi: "Questi qua sono tutti pregiudicati. Spaccio, furto, ricettazione, rapina... qualcuno fa pure le marchette. Non c'è nessuno pulito. Qua più ne muoiono, meglio è per tutti...".
Parole a cui si risponde con un gancio, o una testata sul setto nasale. Ma era in realtà il pensiero di tutti. E forse persino un pensiero saggio.


Nel cono d'ombra dell'attenzione data perennemente a Cosa Nostra, nell'attenzione ossessiva riservata alle bombe della mafia, la camorra ha trovato la giusta distrazione mediatica per risultare praticamente sconosciuta.

Nel 1989 l'Osservatorio sulla Camorra scriveva in una sua pubblicazione che nell'area nord di Napoli si registrava uno dei rapporti spacciatori-numero di abitanti più alto d'Italia. Quindici anni dopo questo rapporto è diventato il più alto d'Europa, e tra i primi cinque al mondo.

L'organizzazione delle piazze di spaccio poteva avvenire anche a Posillipo, ai Parioli, a Brera, ma è avvenuta a Secondigliano. La manodopera in qualsiasi altro luogo avrebbe avuto un costo elevatissimo. Qui la totale assenza di lavoro, l'impossibilità di trovare altra soluzione di vita che non sia l'emigrazione rende i salari bassi, bassissimi.

Non sono certo sia fondamentale osservare ed esserci per conoscere le cose, ma è fondamentale esserci perché le cose ti conoscano.

Uccidere tutti. Tutti quanti. Anche col dubbio. Anche se non sai da che parte stanno, anche se non sai se hanno una parte. Spara! È melma. Melma, solo melma. Dinanzi alla guerra, al pericolo della sconfitta, alleati e nemici sono ruoli interscambiabili. Piuttosto che individui divengono elementi su cui testare la propria forza e oggettivarla. Solo dopo si creeranno d'intorno le parti, gli alleati, i nemici. Ma prima di allora, bisogna iniziare a sparare.

Il furgoncino acchiappamorti gira continuamente, lo si vede da Scampia a Torre Annunziata. Raccoglie, accumula, preleva cadaveri di gente morta sparata. La Campania è il territorio con più morti ammazzati d'Italia, tra i primi posti al mondo. Le gomme della macchina mortuaria sono liscissime, basterebbe fotografare i cerchioni mangiucchiati e il grigiore dell'interno dei pneumatici per avere l'immagine simbolo di questa terra.

Le persone cercano di passare silenziose, di ridurre al minimo la loro presenza nel mondo. Poco trucco, colori anonimi, ma non solo. Chi ha l'asma e non riesce a correre si chiude in casa a chiave, ma trovando una scusa, inventadosi una motivazione, perché svelare di stare chiuso in casa potrebbe risultare una dichiarazione di colpevolezza: di non si sa quale colpa, ma pur sempre una confessione di paura. Le donne non indossano più i tacchi alti, inadatti a correre. A una guerra non dichiarata ufficialmente, non riconosciuta dai governi e non raccontata dai reporter, corrisponde una paura non dichiarata, una paura che si ficca sotto la pelle.

Il Sistema concede almeno l’illusione che l’impegno sia riconosciuto, che ci sia la possibilità di fare carriera. Un affiliato non verrà mai visto come un garzone, le ragazzine non penseranno mai di essere corteggiate da un fallito. Questi ragazzini imbottiti, queste ridicole vedette simili a marionette da football americano, non avevano in mente di diventare Al Capone, ma Flavio Briatore, non un pistolero, ma un uomo d’affari accompagnato da modelle: volevano diventare imprenditori di successo.

Nella foresta di cemento è più facile mimetizzarsi, in case qualsiasi si vive senza facce e senza rumore. Un’assenza più totale quella urbana, più anonima del nascondersi in una botola o in un doppio fondo.

Una volta lessi su una rivista della Nato - dedicata ai familiari dei militari all'estero - un articoletto rivolto a chi doveva venire a Gricignano d'Aversa. Tradussi il brano e me lo scrissi su un'agenda, per ricordarlo. Diceva: "Per capire dove state andando ad abitare, dovete immaginarvi i film di Sergio Leone. E' come il Far West, c'è chi comanda, ci sono sparatorie, regole non scritte e inattaccabili. Ma non preoccupatevi, verso i cittadini e i militari americani ci sarà il massimo rispetto e la massima ospitalità. In ogni caso uscite solo se necessario dal comprensorio militare". Mi aiutò quell'articolista yankee a capire meglio il posto dove vivevo.

La camorra ha una memoria lunghissima e capace di pazienza infinita.

C'è chi comanda le parole e chi comanda le cose. Tu devi capire chi comanda le cose, e fingere di credere a chi comanda le parole. Ma devi sempre sapere la verità in corpo a te. Comanda veramente solo chi comanda le cose.

È così che si fa il bene, solo quando puoi fare del male. […] Il bene vero è quando scegli di farlo perché puoi fare il male.

Scegliere di salvare chi deve morire significa voler condividerne la sorte, perchè qui con la volontà non si muta nulla. Non è una decisione che riesce a portarti via da un problema, non è una presa di coscienza, un pensiero, una scelta, che favvero riescono a darti la sensazione di star agendo nel migliore dei modi. Qualunque sia la cosa da fare sarà quella sbagliata per qualche motivo. Questa è la vera solitudine.

Io so e ho le prove. Io so come hanno origine le economie e dove prendono l'odore. L'odore dell'affermazione e della vittoria. Io so cosa trasuda il profitto. Io so. E la verità della parola non fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa prova. E non deve trascinare controprove e imbastire istruttorie. Osserva, soppesa, guarda, ascolta. Sa. Non condanna in nessun gabbio e i testimoni non ritrattano. Nessuno si pente. Io so e ho le prove. Io so dove le pagine dei manuali d'economia si dileguano mutando i loro frattali in materia, cose, ferro, tempo e contratti. Io so. Le prove non sono nascoste in nessuna pen-drive celata in buche sotto terra. Non ho video compromettenti in garage nascosti in inaccessibili paesi di montagna. Né possiedo documenti ciclostilati dei servizi segreti. Le prove sono inconfutabili perché parziali, riprese con le iridi, raccontate con le parole e temprate con le emozioni rimbalzate su ferri e legni. Io vedo, trasento, guardo, parlo, e così testimonio, brutta parola che ancora può valere quando sussurra: "È falso" all'orecchio di chi ascolta le cantilene a rima baciata dei meccanismi di potere. La verità è parziale, in fondo se fosse riducibile a formula oggettiva sarebbe chimica. Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di queste verità.

Ammazzare è un peccato che verrà compreso e perdonato da Cristo in nome della necessità dell'atto.

Chi non conosce le dinamiche di potere della camorra spesso crede che uccidere un innocente sia un gesto di terribile ingenuità da parte dei clan perché legittima e amplifica il suo esempio, le sue parole. Come una conferma alle sue verità. Errore. Non è mai così. Appena muori in terra di camorra, vieni avvolto da molteplici sospetti, e l'innocenza è un'ipotesi lontana, l'ultima possibile. Sei colpevole fino a prova contraria. La teoria del diritto moderno nella terra dei clan è capovolta.

Si muore per un si o per un no. Si da la vita per un ordine o per la scelta di qualcuno.

E così conoscere non è più una traccia di impegno morale. sapere, capire diviene una necessità, L'unica possibile per considerasi ancora uomini degni di respirare.

Ne ho sentite tante su Gomorra e sul suo autore e mi sono fatta una mia idea: indipendentemente da tutte le polemiche che sono state fatte e che sempre si faranno, questo libro lascia qualcosa, questo libro insegna qualcosa, questo libro fa riflettere.
E Dio solo sa quanto serva, al giorno d’oggi, riflettere.

mercoledì 17 aprile 2013

"E di che cosa sono fatte le parole?" "Di inchiostro."

Titolo: Inchiostro
Titolo originale: Tinta
Autore: Fernando Trìas De Bes
Traduttore: G. Bassi
Editore: Rizzoli
Pagine: 156
Data di pubblicazione: 20 Marzo 2012
ISBN: 9788817056052
Prezzo: 12.00 €


Sinossi:
Nella Magonza di inizio Novecento, Johann Walbach, libraio, cerca una spiegazione alle proprie sofferenze tra le pagine dei suoi amati volumi, depositari di ogni ragione, desiderio e sfumatura dell'animo umano. Un giorno, Walbach incontra un matematico impegnato in un'impresa analoga: trovare una risposta ultima e definitiva al dolore che lo schiaccia, affidandosi al sublime linguaggio dei numeri e delle formule algebriche. Con l'aiuto di uno stampatore, uno scrittore, un editore e di una donna sedotta dal potere dell'inchiostro, i due raggiungeranno un risultato straordinario: un libro dei libri, in grado di spiegare il vero motivo di ogni cosa. 

Penso di averlo già detto mille volte che sono convinta che i libri entrino per caso nella nostra vita e ci rimangano fino a che non siamo pronti a leggerli.
“Inchiostro”, nel mio caso, è solo l’ultimo di tanti esempi che potrei fare a sostegno di questa mia tesi.
L’ho acquistato un po’ di tempo fa grazie ad un’offerta lampo su Amazon poi, complice un periodo in cui avevo voglia di leggere solo cartacei e, successivamente, la rottura del mio e-reader, questo romanzo breve è stato a prendere polvere virtuale fino ad oggi quando, in pausa pranzo, l’ho iniziato e l’ho finito nel tempo di un soffio.

Spiegare cosa racconta questo romanzo è un po’ complicato perché la storia è assurda e surreale, ma alla fine quello che ne ho dedotto io, quello che secondo me è il messaggio di fondo che l’autore vuole trasmettere, è che i libri sono tanto preziosi e tanto importanti perché ognuno di noi riesce a leggere dentro di essi ciò che vuole, ciò di cui ha bisogno in quel preciso momento. È per questo che i libri sono tanto potenti e tanto fondamentali, perché hanno il potere di salvarci la vita, di farci ridere, di farci piangere, di farci riflettere, di prendere decisioni che rimandiamo da tanto tempo. Succede agli strambi e improbabili personaggi inventati da Fernando Trìas de Bes, ma è capitato anche a me, più di una volta, di trovare aiuto e conforto tra le pagine dei romanzi; e mi è anche capitato di trovare dentro di essi il coraggio di prendere decisioni che rimandavo da tempo.

Non è un libro molto conosciuto, ma vi consiglio davvero di leggerlo con attenzione, superando quella fase iniziale di “ma che sta a dì?!” che inevitabilmente vi coglierà dopo le prime pagine, perché è un romanzo che merita davvero tanto.