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lunedì 29 aprile 2013

Per essere felici bisogna trovare la varietà nella ripetizione, per andare avanti bisogna tornare indietro dove si è cominciato.

Titolo: Middlesex
Titolo originale: Middlesex
Autore: Jeffrey Eugenides
Editore: Mondadori
Pagine: 602
Data di pubblicazione: 21 Ottobre 2008
ISBN: 9788804584360
Prezzo: 11.00 €


Sinossi:
Calliope Stephanides, detta Callie e poi Cal, è una bambina come le altre, o così crede, ma un giorno scopre che nel suo Dna si nasconde un gene misterioso che attraversa come una colpa tre generazioni della sua famiglia e ora si manifesta in lei. Callie è colpita da un'"eccentricità biologica" che fa di lei un raro ermafrodito. E da qui ha inizio la sua odissea. Un viaggio travagliato nel cuore di un passato che nasconde i segreti del suo destino. Tra furbi imprenditori e ciarlatani, tra sagge donne di casa e improbabili leader religiosi, in un vorticoso alternarsi di matrimoni, nascite e scandali. Dalla Turchia del crollo dell'Impero Ottomano all'America del proibizionismo, dai conflitti razziali alla controcultura, dal Vietnam al Watergate, Jeffrey Eugenides ci restituisce un mondo scintillante e drammatico in cui il senso del destino e l'eredità familiare si mescolano e si oppongono alla volontà di essere artefici di se stessi, di dar voce ai propri desideri, alla propria sessualità, ai propri sentimenti.

Come mi succede tutte le volte che leggo un romanzo di Eugenides, i primi capitoli mi servono per entrare in sintonia con lui, con la storia che scrive, con il suo modo di narrare. Non mi capita mai di iniziare a leggere qualcosa di suo e venirne travolta immediatamente. Mi ci va un attimo, devo acclimatarmi e ambientarmi tra le pagine della sua storia.
E nemmeno con Middlesex è stato diverso, anzi, forse è stato ancora più faticoso questa volta, complice anhce la settimana passata in cui avevo un impegno a sera e il tempo per leggere era davvero risicato. Infatti si posso tranquillamente confessare di aver letto circa duecento pagine tra lunedì e venerdì e di averci dato dentro sabato e domenica.

Il protagonista di questo romanzo è Calliope Stephanides, nata femminuccia e scopertasi ermafrodito. Ovviamente questa scoperta le cambierà la vita ed è per questo che, passati i quarant'anni, decide di raccontare la propria storia e quella della propria famigla inevitabilmente legata alla Storia della Grecia, paese originario dei suo nonni.

Non voglio svelarvi di più della trama perché vi toglierei il piacere di scoprire tutto da soli, anche se le cose salienti vi verranno rivelate praticamente subito.
Quello che vi posso assicurare e che vi troverete tra le mani una storia densa, forse a volte anche troppo, emozionale e intensa che vi toglierà il fiato e vi travolgerà.
Dato l'argomento che Eugenides ha deciso di trattare, questo libro poteva essere un'emerita boiata oppure un capolavoro e, secondo me, riestra senza ombra di dubbio nella seconda opzione. Perché la storia di Cal viene raccontata con una delicatezza quasi poetica, i disagi che questa anomalia genetica provoca nel protagonista non ricadono mai nel piagnisteo, nel banale e nel patetico.
Vi consiglio di leggerlo e di non farvi intimorire dalla mole perché a fine lettura ne sarete arricchiti in un modo che pochi libri riescono a fare.

lunedì 22 aprile 2013

Accabadora - Michela Murgia

Titolo: Accabadora
Autore: Michela Murgia
Editore: Einaudi
Pagine: 164
Data di pubblicazione: 01 Gennaio 2009
ISBN: 9788806197803
Prezzo: 18.00 €

Sinossi:
La Sardegna degli anni Cinquanta è un mondo antico sull'orlo del precipizio. Maria ha sei anni ed è appena diventata "figlia d'anima" dell'anziana Bonaria Urrai, secondo l'uso campidanese che consente alle famiglie numerose di compensare le sterilità altrui attraverso una adozione sulla parola; il patto tacito è che la figlia acquisirà lo status di erede, ma in cambio promette di prendersi cura della madre adottiva nei bisogni della vecchiaia. La bambina è inizialmente convinta che Bonaria Urrai faccia la sarta, e infatti le giornate sono segnate dallo scorrere nella bottega casalinga di una umanità paesana, fatta di piccole miserie e di relazioni costruite di gesti e di sguardi, molto più che di parole. Accettata come normale dal paese, l'adozione solidale tra la vecchia e la bambina si consolida malgrado lo sfaldarsi circostante delle antiche certezze. Attraverso lo sguardo privilegiato della bambina che cresce, le contraddizioni tra il vecchio e il nuovo emergono via via più evidenti: nell'esperienza della scuola dell'obbligo, e in quella del confronto tra la fede cristiana e i retaggi di una religiosità assai più antica nel tempo.

E anche in questo caso, come per Gomorra, leggo e recensisco il romanzo parecchio tempo dopo la sua uscita.
Se nel caso del libro di Saviano il mio aspettare era legato al successo immediatamente esploso, nel caso di questo romanzo la mia reticenza era dovuta al fatto che pensavo di trovare tra le pagine una storia che non mi sarebbe piaciuta. Perché? Per quegli assurdi pregiudizi che ogni tanto si figurano nella mente del lettore dopo aver letto la trama di un libro; idee che saltano fuori dall'interpretazione di un riassunto e che rimangono lì fino a che non ci si decide a leggerlo, quel libro.
E anche per me e per Michela Murgia è arrivato il momento di incontrarsi.

Nella Sardegna degli anni '50, terra di usanze e superstizioni radicate, Maria diventa figlia d'anima di Bonaria Urria, anziana donna mai sposatasi e senza figli. Diventare figlia d'anima significa che Maria diventa figlia acquisita di Bonaria. Questa usanza permette alle famiglie numerose di compensare la sterilità altrui attraverso un'adozione che si basa solo ed esclusivamente sulla parola data. In questo modo la figlia acquisirà lo status di erede, ma in cambio promette di prendersi cura della madre adottiva nei bisogni della vecchiaia.
Per Maria l'inizio di questa nuova vita è una rinascita: in casa propria era nessuno, un peso aggiunto a spalle che di portare zavorre aggiunte non ne avevano voglia. Bonaria invece la tratta come una persona, la chiama per nome, le insegna a cucire e a smettere di rubare. L'unica cosa strana in questo menage famigliare qualsi perfetto è che l'anziana donna ogni tanto, di notte, esce senza dare spiegazioni e rientra a mattina quasi fatta. La bambina prova a chiedere spiegazioni, ma non ne riceve nessuna e così anche questa stranezza diventa parte del quotidiano fino al terribile giorno in cui la verità verrà fuori e porterà Maria a prendere la decisione di trasferirsi a Torino.

Come dicevo più sopra, mi aspettavo un libro completamente diverso, meno scorrevole e talmente impregnato della cultura sarda da risultare di difficile lettura a chi sardo non è. Ed invece mi sono trovata tra le mani una storia di amore e amicizia tra una donna anziana ed una bambina raccontata in modo delicato e poetico, che mi ha catturata e da cui sono rimasta estremamente colpita.
Le superstizioni e la vita nei piccoli paesini sardi degli anni cinquanta ci sono eccome, però svengono inserite in modo magistrale e non rendono la lettura pesante o incomprensibile a chi in Sardegna non ci è nato e di quella terra conosce poco o nulla.
Insomma, una scoperta tardiva ma molto molto piacevole che consiglio a chi, come me, ancora non l'ha letta.

PS scusate la recensione venuta fuori un po' così, ma è da questa mattina alle undici che sono qui davanti allo schermo a scriverla e cancellarla, che alla fine ho raffazzonato un po' di pensieri e sensazioni qua e la e li ho buttati giù alla bell'è meglio.
Credo che l'unico modo per capire il motivo di questa mia difficoltà sia leggere il libro, perché trasmette così tanto che è difficile da spiegare a parole. 

domenica 21 aprile 2013

Meditazione letteraria....

Ultimamente sto facendo tanta fatica a ritagliarmi degli spazi per leggere e dopo averci messo quasi un mese (il mio record assoluto!) per leggere un libro, sono arrivata alla conclusione che non posso forzarmi a leggere libri che trascino a fatica.
E così, sono qui a condividere con voi dei pensieri un po' cupi che mi assalgono (sarà anche questa brutta e cattiva pioggia?) riguardo a un paio di letture intraprese recentemente.

Dopo aver impiegato un'eternità per leggere "Il Simbolo Perduto" di Dan Brown, tutto ciò che la mia mente-quasi-bacata ha appreso dal romanzo è che il modo di dire "fare il terzo grado", deriva da particolari rituali di origine massonica. Per il resto, ho già dimenticato tutto! Ma dov'è finito il Dan Brown che mi piaceva tanto?
Come ha fatto a scrivere sta palla di piombo incatenata al piede? :(
Tristezza a valanghe e delusione cocente!
Robert Langdon è diventato un bambolotto senza un briciolo di iniziativa e personalità, gli altri protagonisti sembrano tutti sull'orlo di una crisi di nervi. La suspence mi ha fatto addormentare nei punti salienti e le pagine erano una ripetizione unica di concetti, parole, aggettivi, verbi. "Massoni....bla bla...società segreta... bla bla. Crisi mondiale!"
E io lì, che cercavo di sopravvivere alle 600 pagine, senza cedere alla tentazione di fabbricare tante zzzzZzzzZzzzZzzz, detto alla Jonathan Safran Foer - per ricollegarci al pensiero cupo che tra poco vi espongo.
Dan, per favore... che il prossimo sia un po' più leggibile!

Pensiero cupo numero due: perchè non riesco a leggere "Ogni cosa è illuminata" del sopracitato J.S. Foer?

Jonathan, un giovane ebreo statunitense, si reca in Ucraina alla ricerca di Augustine, la donna che salvò la vita a suo nonno durante le deportazioni naziste. Armato di una fotografia che ritrae suo nonno e Augustine, Jonathan inizia così la sua ricerca della città fantasma di Trachimbrod, lo shtetl dove suo nonno viveva all'epoca, distrutto dai nazisti durante la guerra e perciò scomparso dalle mappe. Nel suo viaggio è accompagnato da una guida locale, Aleksandr (Alex), con il quale stringerà presto amicizia, e dallo strambo nonno di Alex, che dichiara continuamente di essere cieco (ma in realtà ci vede benissimo), e quindi si fa condurre dal proprio cagnolino, Sammy Davis Junior Junior.

 Ci ho provato due volte, e ognuna è fallita. Ho apprezzato veramente moltissimo "Molto forte, incredibilmente vicino", ma al contrario con "Ogni cosa è illuminata" non c'è proprio feeling. Forse sono io che sono troppo limitata di vedute per leggerlo in questo momento, ma lo trovo poco scorrevole. Non tanto per la parte dell'avventura di Jonathan, Alex e il nonno, quanto per la parte che riguarda Trachimbrod. Quindi, se qualcuno di voi l'ha letto.. potrebbe illuminarmi? :)

sabato 20 aprile 2013

Il dolore è insensato. Come l'amore.

Titolo: L'acustica perfetta
Autore: Daria Bignardi
Editore: Mondadori
Pagine: 200
Data di pubblicazione: 30 Ottobre 2012
ISBN: 9788804616214
Prezzo: 18.00 €

Sinossi:
Arno e Sara si incontrano da ragazzini e istintivamente si amano. Un pomeriggio d'estate lei lo lascia, dicendogli che "le piacciono gli amori infelici". Si ritrovano molti anni dopo, decidono di sposarsi: sono allegri, innamorati, sembrano felici. Arno è convinto di darle tutto se stesso e non si spiega le malinconie e le bugie che affiorano poco a poco. In fondo, la sua vita gli piace così com'è: suona il violoncello alla Scala, ha avuto tre figli dalla donna della sua vita, non si fa domande. Ma il disagio di Sara col tempo aumenta, finché una mattina Arno non sarà costretto da un evento inconcepibile a chiedersi chi è davvero la persona con cui ha vissuto tredici anni, la donna che ama da sempre. Con titubanza, inizia a seguire una pista di ferite giovanili e passioni soffocate e, con crescente sgomento, ritrova il bandolo di storie insospettabili. Può una donna restare con un uomo che pensa di amarla ma non ha mai voluto conoscerla davvero? Può un uomo accettare che sua moglie non si fidi di lui? Si può vivere senza esprimere se stessi? E come incide il dolore nelle nostre vite? Abbiamo tutti le stesse carte in mano?

Ho finito pochi minuti fa di leggere questo romanzo e sono stata indecisa per qualche secondo se scrivere subito o lasciare sedimentare il tutto. E poi ho deciso di buttare giù una recensione a caldo perché a volte stare a riflettere troppo, a rimuginare, non va nemmeno troppo bene.

Protagonisti di questa storia sono Arno e Sara, un uomo e una donna che si sono conosciuti da ragazzini e si sono innamorati, poi si sono allontanati e persi di vista per poi ritrovarsi ormai trentenni. Rivedendosi pare che tra loro l'amore non sia mai finito, soprattutto per Arno che non ha mai dimenticato Sara, l'ha sempre sognata, pensata, rimpianta. Si rincontrano una sera, per caso, a Milano e riprendono da dove avevano lascaito. Poi si sposano e hanno dei figli e, per tredici anni, la loro vita prosegue normale, cullata dal tran tran quotidiano che regola le giornate di una famiglia con tre figli.
Poi, una mattina, esattamente quattro giorni prima di Natale, Arno si sveglie e non trova più Sara. La cerca per casa e quello che trova è solo una lettera in cui gli dice che se n'è andata perché ha bisogno di stare da sola, di prendere le distanze da quella quotidianità che le sta stretta. La prima reazione del marito è di incredulità: non può essere che la sua Sara lo abbia lasciato, è impossibile che quella moglie e madre perfetta abbia compiuto un gesto tanto sconsiderato. Sarà solo uno scherzo, tornerà sicuramente a casa, in fondo manca poco al Natale.
Ma quando i giorni diventano settimane e le settimane diventano mesi, quando anche la rabbia è passata, Arno è costretto a guardare in faccia la realtà e affrontare il problema. Verrà a scoprire di non conoscere sua moglie, si renderà conto di aver vissuto con un'estranea e dovrà fare i conti anche, e soprattutto, con se stesso.

L'acustica perfetta è il terzo romanzo che Daria Bignardi scrive, ma è il primo che leggo, perché, di tutti e tre, è quello che mi ha ispirato di più. Ammiro e stimo molto lei come giornalista ma ho sempre storto un po' il naso di fronte alla sua scelta di diventare scrittrice e, dopo aver letto questo suo lavoro, ho avuto la conferma che i miei non fossero solo pregiudizi.
Attenzione, non sto dicendo che scriva male o che questo sia un romanzo pessimo, sconsigliato e da non leggere, però è un romanzo in cui manca qualcosa, quel qualcosa che ti fa affezionare ai protagonisti, che ti coinvolge completamente nella storia, che ti fa dimenticare che esiste anche un mondo intorno oltre a te e al romanzo che stai leggendo.
E credo che questo dipenda dal fatto che la scrittura, curata e magistrale, lo sia al punto da risultare quasi asettica. Come si diceva ieri parlando di questo libro con Strat from scratch, la Bignardi è un'ottima gioralista, molto razionale e, quando diventa scrittrice, questa razionalità non la perde. Il risultato è un romanzo scritto in modo eccellente ma le cui vicende non coinvolgono totalmente ed incondizionatamente il lettore.
Per lo meno, non hanno coinvolto totalmente me.

giovedì 18 aprile 2013

Gomorra - Roberto Saviano

Titolo: Gomorra
Autore: Roberto Saviano
Editore: Mondadori
Pagine: 331
Data di pubblicazione: 01 Gennaio 2006
ISBN: 9788804554509
Prezzo: 15.50 €

Sinossi:
Questo incredibile, sconvolgente viaggio nel mondo affaristico e criminale della camorra si apre e si chiude nel segno delle merci, del loro ciclo di vita. Le merci "fresche", appena nate, che sotto le forme più svariate - pezzi di plastica, abiti griffati, videogiochi, orologi - arrivano al porto di Napoli e, per essere stoccate e occultate, si riversano fuori dai giganteschi container per invadere palazzi appositamente svuotati di tutto, come creature sventrate, private delle viscere. E le merci ormai morte che, da tutta Italia e da mezza Europa, sotto forma di scorie chimiche, morchie tossiche, fanghi, addirittura scheletri umani, vengono abusivamente "sversate" nelle campagne campane, dove avvelenano, tra gli altri, gli stessi boss che su quei terreni edificano le loro dimore fastose e assurde - dacie russe, ville hollywoodiane, cattedrali di cemento e marmi preziosi - che non servono soltanto a certificare un raggiunto potere ma testimoniano utopie farneticanti, pulsioni messianiche, millenarismi oscuri. Questa è oggi la camorra, anzi, il "Sistema", visto che la parola "camorra" nessuno la usa più: da un lato un'organizzazione affaristica con ramificazioni impressionanti su tutto il pianeta e una zona grigia sempre più estesa in cui diventa arduo distinguere quanta ricchezza è prodotta direttamente dal sangue e quanta da semplici operazioni finanziarie. Dall'altro lato un fenomeno criminale profondamente influenzato dalla spettacolarizzazione mediatica, per cui i boss si ispirano negli abiti e nelle movenze a divi del cinema e a creature dell'immaginario, dai gangster di Tarantino alle sinistre apparizioni de "Il corvo" con Brandon Lee. Figure come Gennarino McKay, Sandokan Schiavone, Cicciotto di Mezzanotte, Ciruzzo 'o Milionario, se non avessero provocato decine di morti ammazzati potrebbero sembrare in tutto e per tutto personaggi inventati da uno sceneggiatore con troppa fantasia. In questo libro avvincente e scrupolosamente documentato Roberto Saviano ha ricostruito sia le spericolate logiche economico-finanziarie ed espansionistiche dei clan del napoletano e del casertano, da Secondigliano a Casal di Principe, sia le fantasie infiammate che alle logiche imprenditoriali coniugano il fatalismo mortuario dei samurai del medioevo giapponese. Ne viene fuori un libro anomalo e potente, appassionato e brutale, al tempo stesso oggettivo e visionario, di indagine e di letteratura, pieno di orrori come di fascino inquietante, un libro il cui giovanissimo autore, nato e cresciuto nelle terre della più efferata camorra, è sempre coinvolto in prima persona. Sono pagine che afferrano il lettore alla gola e lo trascinano in un abisso dove davvero nessuna immaginazione è in grado di arrivare.

E finalmente, dopo anni di ritardo, dopo mille esitazioni e ripensamenti, anch’io ho letto Gomorra di Roberto Saviano.
Perché ci ho messo così tanto ad accostarmi a questo libro? In primis perché quando un libro appena uscito suscita il successo che ha suscitato questo, seppur m’incuriosisca e abbia voglia di leggerlo, aspetto ad acquistarlo perché non mi piace farmi trascinare dall’entusiasmo. E poi avevo bisogno di farmi un’idea mia su Roberto Saviano, personaggio assai controverso, che io trovo personalmente molto coraggioso e che ammiro per il suo atto di denuncia. Se non avessi avuto una ditta di famiglia o se avessi scelto di non lavorare qui, avrei voluto fare il procuratore anti mafia, quindi apprezzo il lavoro di denuncia di questo ragazzo e di chi, come lui e prima di lui, lo ha fatto.
Però confesso che non mi piace come usano lui e il suo nome: l’hanno mitizzato, ne hanno fatto un santino (passatemi il termine, è per farvi capire cosa intendo) e lo tirano fuori dei loro portafogli come e quando fa comodo a loro. E questo me lo rende un po’ antipatico ogni tanto.

Per quanto riguarda Gomorra, ho deciso di fare una recensione un po’ diversa perché tanto è già stato detto e molto è già stato scritto. Per cui ho pensato di far parlare il libro stesso al posto mio riportando alcune delle citazioni più significative e che più mi hanno fatto riflettere.
Non è pigrizia la mia, semplicemente non voglio cadere nel ridondante o nelle banalità, rischio molto elevato per entrambe le cose visto che di camorra me ne intendo poco e visto che arrivo dopo anni a parlarvi di questo romanzo.

Si crede stupidamente che un atto criminale per qualche ragione debba essere maggiormente pensato e voluto rispetto a un atto innocuo. In realtà non c'è differenza. I gesti conoscono un'elasticità che i giudizi etici ignorano.

Crepare a quindici anni in questa periferia sembra scontare una condanna a morte piuttosto che essere privati della vita.

C'erano poliziotti in borghese che cercavano di stare lontano dalle navate. Tutti li avevano riconosciuti, ma non c'era spazio per scaramucce. In chiesa riuscii subito a individuarli; o meglio loro individuarono me, non trovando sul mio viso traccia del loro archivio mentale. Come per venire incontro alla mia cupezza uno di questi mi si avvicinò dicendomi: "Questi qua sono tutti pregiudicati. Spaccio, furto, ricettazione, rapina... qualcuno fa pure le marchette. Non c'è nessuno pulito. Qua più ne muoiono, meglio è per tutti...".
Parole a cui si risponde con un gancio, o una testata sul setto nasale. Ma era in realtà il pensiero di tutti. E forse persino un pensiero saggio.


Nel cono d'ombra dell'attenzione data perennemente a Cosa Nostra, nell'attenzione ossessiva riservata alle bombe della mafia, la camorra ha trovato la giusta distrazione mediatica per risultare praticamente sconosciuta.

Nel 1989 l'Osservatorio sulla Camorra scriveva in una sua pubblicazione che nell'area nord di Napoli si registrava uno dei rapporti spacciatori-numero di abitanti più alto d'Italia. Quindici anni dopo questo rapporto è diventato il più alto d'Europa, e tra i primi cinque al mondo.

L'organizzazione delle piazze di spaccio poteva avvenire anche a Posillipo, ai Parioli, a Brera, ma è avvenuta a Secondigliano. La manodopera in qualsiasi altro luogo avrebbe avuto un costo elevatissimo. Qui la totale assenza di lavoro, l'impossibilità di trovare altra soluzione di vita che non sia l'emigrazione rende i salari bassi, bassissimi.

Non sono certo sia fondamentale osservare ed esserci per conoscere le cose, ma è fondamentale esserci perché le cose ti conoscano.

Uccidere tutti. Tutti quanti. Anche col dubbio. Anche se non sai da che parte stanno, anche se non sai se hanno una parte. Spara! È melma. Melma, solo melma. Dinanzi alla guerra, al pericolo della sconfitta, alleati e nemici sono ruoli interscambiabili. Piuttosto che individui divengono elementi su cui testare la propria forza e oggettivarla. Solo dopo si creeranno d'intorno le parti, gli alleati, i nemici. Ma prima di allora, bisogna iniziare a sparare.

Il furgoncino acchiappamorti gira continuamente, lo si vede da Scampia a Torre Annunziata. Raccoglie, accumula, preleva cadaveri di gente morta sparata. La Campania è il territorio con più morti ammazzati d'Italia, tra i primi posti al mondo. Le gomme della macchina mortuaria sono liscissime, basterebbe fotografare i cerchioni mangiucchiati e il grigiore dell'interno dei pneumatici per avere l'immagine simbolo di questa terra.

Le persone cercano di passare silenziose, di ridurre al minimo la loro presenza nel mondo. Poco trucco, colori anonimi, ma non solo. Chi ha l'asma e non riesce a correre si chiude in casa a chiave, ma trovando una scusa, inventadosi una motivazione, perché svelare di stare chiuso in casa potrebbe risultare una dichiarazione di colpevolezza: di non si sa quale colpa, ma pur sempre una confessione di paura. Le donne non indossano più i tacchi alti, inadatti a correre. A una guerra non dichiarata ufficialmente, non riconosciuta dai governi e non raccontata dai reporter, corrisponde una paura non dichiarata, una paura che si ficca sotto la pelle.

Il Sistema concede almeno l’illusione che l’impegno sia riconosciuto, che ci sia la possibilità di fare carriera. Un affiliato non verrà mai visto come un garzone, le ragazzine non penseranno mai di essere corteggiate da un fallito. Questi ragazzini imbottiti, queste ridicole vedette simili a marionette da football americano, non avevano in mente di diventare Al Capone, ma Flavio Briatore, non un pistolero, ma un uomo d’affari accompagnato da modelle: volevano diventare imprenditori di successo.

Nella foresta di cemento è più facile mimetizzarsi, in case qualsiasi si vive senza facce e senza rumore. Un’assenza più totale quella urbana, più anonima del nascondersi in una botola o in un doppio fondo.

Una volta lessi su una rivista della Nato - dedicata ai familiari dei militari all'estero - un articoletto rivolto a chi doveva venire a Gricignano d'Aversa. Tradussi il brano e me lo scrissi su un'agenda, per ricordarlo. Diceva: "Per capire dove state andando ad abitare, dovete immaginarvi i film di Sergio Leone. E' come il Far West, c'è chi comanda, ci sono sparatorie, regole non scritte e inattaccabili. Ma non preoccupatevi, verso i cittadini e i militari americani ci sarà il massimo rispetto e la massima ospitalità. In ogni caso uscite solo se necessario dal comprensorio militare". Mi aiutò quell'articolista yankee a capire meglio il posto dove vivevo.

La camorra ha una memoria lunghissima e capace di pazienza infinita.

C'è chi comanda le parole e chi comanda le cose. Tu devi capire chi comanda le cose, e fingere di credere a chi comanda le parole. Ma devi sempre sapere la verità in corpo a te. Comanda veramente solo chi comanda le cose.

È così che si fa il bene, solo quando puoi fare del male. […] Il bene vero è quando scegli di farlo perché puoi fare il male.

Scegliere di salvare chi deve morire significa voler condividerne la sorte, perchè qui con la volontà non si muta nulla. Non è una decisione che riesce a portarti via da un problema, non è una presa di coscienza, un pensiero, una scelta, che favvero riescono a darti la sensazione di star agendo nel migliore dei modi. Qualunque sia la cosa da fare sarà quella sbagliata per qualche motivo. Questa è la vera solitudine.

Io so e ho le prove. Io so come hanno origine le economie e dove prendono l'odore. L'odore dell'affermazione e della vittoria. Io so cosa trasuda il profitto. Io so. E la verità della parola non fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa prova. E non deve trascinare controprove e imbastire istruttorie. Osserva, soppesa, guarda, ascolta. Sa. Non condanna in nessun gabbio e i testimoni non ritrattano. Nessuno si pente. Io so e ho le prove. Io so dove le pagine dei manuali d'economia si dileguano mutando i loro frattali in materia, cose, ferro, tempo e contratti. Io so. Le prove non sono nascoste in nessuna pen-drive celata in buche sotto terra. Non ho video compromettenti in garage nascosti in inaccessibili paesi di montagna. Né possiedo documenti ciclostilati dei servizi segreti. Le prove sono inconfutabili perché parziali, riprese con le iridi, raccontate con le parole e temprate con le emozioni rimbalzate su ferri e legni. Io vedo, trasento, guardo, parlo, e così testimonio, brutta parola che ancora può valere quando sussurra: "È falso" all'orecchio di chi ascolta le cantilene a rima baciata dei meccanismi di potere. La verità è parziale, in fondo se fosse riducibile a formula oggettiva sarebbe chimica. Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di queste verità.

Ammazzare è un peccato che verrà compreso e perdonato da Cristo in nome della necessità dell'atto.

Chi non conosce le dinamiche di potere della camorra spesso crede che uccidere un innocente sia un gesto di terribile ingenuità da parte dei clan perché legittima e amplifica il suo esempio, le sue parole. Come una conferma alle sue verità. Errore. Non è mai così. Appena muori in terra di camorra, vieni avvolto da molteplici sospetti, e l'innocenza è un'ipotesi lontana, l'ultima possibile. Sei colpevole fino a prova contraria. La teoria del diritto moderno nella terra dei clan è capovolta.

Si muore per un si o per un no. Si da la vita per un ordine o per la scelta di qualcuno.

E così conoscere non è più una traccia di impegno morale. sapere, capire diviene una necessità, L'unica possibile per considerasi ancora uomini degni di respirare.

Ne ho sentite tante su Gomorra e sul suo autore e mi sono fatta una mia idea: indipendentemente da tutte le polemiche che sono state fatte e che sempre si faranno, questo libro lascia qualcosa, questo libro insegna qualcosa, questo libro fa riflettere.
E Dio solo sa quanto serva, al giorno d’oggi, riflettere.

mercoledì 17 aprile 2013

"E di che cosa sono fatte le parole?" "Di inchiostro."

Titolo: Inchiostro
Titolo originale: Tinta
Autore: Fernando Trìas De Bes
Traduttore: G. Bassi
Editore: Rizzoli
Pagine: 156
Data di pubblicazione: 20 Marzo 2012
ISBN: 9788817056052
Prezzo: 12.00 €


Sinossi:
Nella Magonza di inizio Novecento, Johann Walbach, libraio, cerca una spiegazione alle proprie sofferenze tra le pagine dei suoi amati volumi, depositari di ogni ragione, desiderio e sfumatura dell'animo umano. Un giorno, Walbach incontra un matematico impegnato in un'impresa analoga: trovare una risposta ultima e definitiva al dolore che lo schiaccia, affidandosi al sublime linguaggio dei numeri e delle formule algebriche. Con l'aiuto di uno stampatore, uno scrittore, un editore e di una donna sedotta dal potere dell'inchiostro, i due raggiungeranno un risultato straordinario: un libro dei libri, in grado di spiegare il vero motivo di ogni cosa. 

Penso di averlo già detto mille volte che sono convinta che i libri entrino per caso nella nostra vita e ci rimangano fino a che non siamo pronti a leggerli.
“Inchiostro”, nel mio caso, è solo l’ultimo di tanti esempi che potrei fare a sostegno di questa mia tesi.
L’ho acquistato un po’ di tempo fa grazie ad un’offerta lampo su Amazon poi, complice un periodo in cui avevo voglia di leggere solo cartacei e, successivamente, la rottura del mio e-reader, questo romanzo breve è stato a prendere polvere virtuale fino ad oggi quando, in pausa pranzo, l’ho iniziato e l’ho finito nel tempo di un soffio.

Spiegare cosa racconta questo romanzo è un po’ complicato perché la storia è assurda e surreale, ma alla fine quello che ne ho dedotto io, quello che secondo me è il messaggio di fondo che l’autore vuole trasmettere, è che i libri sono tanto preziosi e tanto importanti perché ognuno di noi riesce a leggere dentro di essi ciò che vuole, ciò di cui ha bisogno in quel preciso momento. È per questo che i libri sono tanto potenti e tanto fondamentali, perché hanno il potere di salvarci la vita, di farci ridere, di farci piangere, di farci riflettere, di prendere decisioni che rimandiamo da tanto tempo. Succede agli strambi e improbabili personaggi inventati da Fernando Trìas de Bes, ma è capitato anche a me, più di una volta, di trovare aiuto e conforto tra le pagine dei romanzi; e mi è anche capitato di trovare dentro di essi il coraggio di prendere decisioni che rimandavo da tempo.

Non è un libro molto conosciuto, ma vi consiglio davvero di leggerlo con attenzione, superando quella fase iniziale di “ma che sta a dì?!” che inevitabilmente vi coglierà dopo le prime pagine, perché è un romanzo che merita davvero tanto.

lunedì 15 aprile 2013

Tu che m'hai preso il cuor

Titolo: Stoner
Titolo originale: Stoner
Autore: John E. Williams
Traduttore: S. Tummolini
Editore: Fazi
Pagine: 332
Data di pubblicazione: 22 Febbraio 2012
ISBN: 9788864112367
Prezzo: 17.50 €

Sinossi:
William Stoner ha una vita che sembra essere assai piatta e desolata. Non si allontana mai per più di centocinquanta chilometri da Booneville, il piccolo paese rurale in cui è nato, mantiene lo stesso lavoro per tutta la vita, per quasi quarantanni è infelicemente sposato alla stessa donna, ha sporadici contatti con l'amata figlia e per i suoi genitori è un estraneo, per sua ammissione ha soltanto due amici, uno dei quali morto in gioventù. Non sembra materia troppo promettente per un romanzo e tuttavia, in qualche modo, quasi miracoloso, John Williams fa della vita di William Stoner una storia appassionante, profonda e straziante. Come riesce l'autore in questo miracolo letterario? A oggi ho letto Stoner tre volte e non sono del tutto certo di averne colto il segreto, ma alcuni aspetti del libro mi sono apparsi chiari. E la verità è che si possono scrivere dei pessimi romanzi su delle vite emozionanti e che la vita più silenziosa, se esaminata con affetto, compassione e grande cura, può fruttare una straordinaria messe letteraria. E il caso che abbiamo davanti. (Dalla postfazione di Peter Cameron)

Io amo viaggiare, sia in senso lato che in senso stretto. Mi piace prendere un aereo che mi porta in posti lontani o relativamente vicini, mi piace salire sul bus e accomodarmi vicino al finestrino e mi piacerebbe anche viaggiare in treno se non facesse tutti i ritardi mostruosi che fa. Ma mi piace anche viaggiare in macchina, sempre da passeggero però così posso godermi il paesaggio che scorre al di là del finestrino. Quando attraverso le città o i piccoli paesi, mi piace osservare le persone che, indaffarate, affollano i marciapiedi, entrano nei negozi, attraversano la strada guardando l'orologio. Registro tutto questo e poi, per ognuno di loro, immagino il proseguimento della loro giornata inventando situazioni e dialoghi di una vita comune non dissimile dalla mia.


Leggere Stoner per me è stato esattamente come sedermi sul sedile del bus o della macchina, appoggiare la fronte al finestrino e vedervi scorrere attraverso la vita di quest'uomo tanto banale quanto straordinario.
Perché in questo romanzo non succede nulla di eccitante, di eccezionale e di avventuroso ma la banale normalità della vita ti travolge e ti avvolge come solo grandi capolavori riescono a fare.

William Stoner è un ragazzo di campagna che studia e lavora alla fattoria dei genotiri. Una giorno, a tavola, il padre gli dice di essere venuto a conoscenza del fatto che all'università di Columbia è stata aperta la facoltà di agraria e lo esorta ad iscriversi, così imparerà il necessario per mandare avanti al meglio la fattoria paterna.
Stoner accetta la proposta, si trasferisce dai cugini e comincia a frequentare l'università.
Passando il tempo, però, capisce che quello che gli interessa veramente non è l'agraria, ma la letteratura e così cambia il suo corso di studi senza dire nulla a suo padre, anche se dentro di se ha già maturato la certezza che non tornerà a lavorare alla fattoria, ma si fermerà all'università per proseguire gli studi ed insegnare all'interno della stessa.


Durante il dottorato farà amicizia con due compagni di studi, Finch e Masters, che a differenza sua si arruoleranno per partecipare attivamente alla guerra. Dei due tornerà solo Finch e, sebbene possa sembrare che Stoner vada più d'accordo con Masters, negli anni Finch si rivelerà un amico leale e sincero, pronto a schierarsi dalla sua parte quando servirà.


La vita di Stoner prosegue senza grandi novità, senza alcun brivido, senza alcuna avventura fino al giorno in cui, partecipando ad una festa, conosce Edith. Per William è amore a prima vista: è conquistato dalla sua bellezza e magnetizzato dai suoi occhi. Non riesce a distogliere lo sguardo e chiede all'amico Finch di presentargliela.
I due giovani, un po' impacciati, iniziano a conversare e Stoner le chiede il permesso di farle visita ancora altre volte. Edith accetta e così inizia un corteggiamento strano e disperato che porterà ad un matrimonio altrettanto disperato e infelice.


William farà di tutto per cercare di capire quella creatura complicata e fragile che ha sposato, ma ogni suo tentativo sarà vano e i due troveranno un loro equilibrio che li aiuterà a rendere sopportabile il loro stato di marito e moglie, ma non impedirà ad Edith di comportarsi in modo sgradevole e iniziare contro di lui una battaglia che li porterà ad allontanarsi inesorabilmente ed irrimediabilmente.


L'esistenza di Stoner prosegue così, piatta e senza un senso apparente quando anche l'amore e la compagnia dell'adorata figlia gli vengono sottratti, fino a che non trova l'amore, quello vero, tra le braccia di una giovanne donna che decide di frequentare uno dei suoi seminari.


Inimicatosi un suo collega, Lomax, poiché aveva apertamente osteggiato la candidatura per il dottorato di un suo protetto, Stoner si vedrà rendere pan per focaccia e sarà costretto a rinunciare alla felicità tanto sperata e tanto tardi arrivata.


E così la vita di quest'uomo troppo presto invecchiato continua sui suoi binari ordinari e prosegue senza altri compi di scena, fino al finale che vedrà il perdono e la riconciliazione con tutti gli antagonisti arrivare nel peggiore dei modi.


Citando Tom Hanks:
“Stoner è semplicemente un romanzo che parla di un ragazzo che va all’università e diventa professore. Eppure è una delle cose più affascinanti che vi capiterà di leggere”.
 Ed è vero, non è niente di più che la narrazione di una vita ordinaria e comune, che scorre con la sua quotidianità, la sua lentezza e la sua normalità. Eppure l'esistenza di William Stoner ti entra dentro e si scava un posticino tutto suo nel quale si accomoda e dal quale non se ne andrà tanto facilmente.

giovedì 11 aprile 2013

Non tutte le ciambelle escono col buco: quando alcuni libri proprio non ci vanno giù.


Nell'attesa di lanciarmi in quella che sarà un'appassionata recensione del libro che sto leggendo adesso (trattasi di Stoner, che già vi consiglio spassionatamente anche se non l'ho ancora finito), ho deciso di parlarvi di due libri che ho letto poco tempo fa e che mi hanno lasciato l'amaro in bocca, seppur per motivi differenti.


Il primo dei due è "Mirtilli a colazione" di Meg Mitchell Moore che ho visto per la prima volta sul periodico de "Il Libraio" l'anno scorso. Come al solito sono rimasta fregata dal titolo italiano bellissimo che, nell'originale, è in realtà "The Arrivals" e che renderebbe decisamente meglio quella che è la storia che viene narrata.
Intendiamoci, un vago profumo di mirtilli tra le pagine si sente e in una recensione trovata sul web si diceva che il momento della colazione è uno dei pochi attimi in cui la famiglia si ritrova insieme intorno al tavolo, in intimità e confidenza. E, tutto sommato, ci può anche stare anche se la famiglia di cui si parla di colazioni insieme non ne fa nemmeno una.

In breve, in questo romanzo si racconta di un tranquillo giorno di inizio estate in cui Ginny e William si ritrovano in casa la figlia più grande Lilian con i suoi due figli Olivia e Philip. La donna è scappata da casa abbandonando il marito, dopo aver scoperto che questo l’ha tradita con la sua giovane e magra segretaria.
Qualche giorno dopo arriva anche Stephen, il figlio di mezzo, con la moglie incinta di sette mesi. Lui è un editor freelance, lei un’affermata donna in carriera che guadagna di più; è per questo che hanno deciso, di comune accordo, che lei tornerà a lavorare dopo appena un mese dal parto e sarà Stephen ad occuparsi del bambino e lasciare il lavoro.
Ultima ad arrivare è Rachel che vive a New York, ha un lavoro più o meno soddisfacente, una storia d’amore finita e un aborto spontaneo capitato poco tempo dopo aver scoperto di essere incinta. Tutto questo, tutto insieme, è troppo e così decide di rifugiarsi anche lei a casa dei genitori.

Quello che ne viene fuori è una quotidianità incasinata e chiassosa in cui William e Ginny si trovano a ricordare i loro figli da piccoli, rivivono il loro allontanamento e l’improvviso ritorno a casa come un desiderio tanto agognato ma forse non proprio voluto.

Quello che manca, però, e che secondo me è fondamentale, è il dialogo che si ha tra genitori e figli, quello che inizia da piccoli e che cresce e si modifica insieme ai bambini che diventano grandi. Nella mia testa, se i figli stanno attraversando un periodo un po' così e decidono di tornare a casa dei genitori, in quel nido di protezione e calore nel quale si sentono bene e sicuri, implica che hanno anche voglia di parlare dei loro problemi con la mamma e col papà per avere un confronto e un conforto. O per lo meno, questo è quello che farei io, ma probabilmente non è quello che si prova in America, dove i figli lasciano la casa paterna e diventano indipendenti molto prima che qui da noi in Italia e, forse, quel cordone ombelicale che lega genitori e figli si spezza prima e in un modo pressoché definitivo.
Forse a causa di questo modo diverso di interpretare la famiglia e l'aiuto che può dare, non sono riuscita ad apprezzare fino in fondo questo romanzo che, tra l'altro, ho anche trovato un po' piatto, sommario e superficiale.


Il secondo libro è "Io prima di te" di Jojo Moyes, per commentare il quale devo raccogliere tutta la calma zen di cui sono dotata, altrimenti rischio di scrivere uno srpoloquio ingiurioso più che un commento sensato e ragionato.

Ci sono libri dai quali mi tengo a distanza automaticamente non appena vedo la loro copertina e il titolo. Sono quei libri che, attraverso questi due elementi, esprimono già appieno il loro contenuto e io di solito non mi avvicino a  quelli pseudo harmony, ai libri erotici che adesso vanno tanto di moda, ai fantasy e alle storie d’amore troppo stucchevoli e troppo sdolcinate.
Ecco perché non avrei mai letto questo libro se a chiedermelo non fosse stata Sonia (che adesso mi deve decisamente una pizza!), che lo ha letto, non lo ha apprezzato (a differenza di molte altre persone) e aveva bisogno di un parere “fidato”.

Protagonista di questa storia è Louisa, una ragazza di ventisei anni ingabbiata nella sua routine quotidiana, che vive all’ombra di una sorella più intelligente, con un padre sarcastico che la prende in giro, una madre ossessionata dalla pulizia e un fidanzato ossessionato dallo sport e dalla forma fisica.
E poi c’è Will, un ragazzo giovane, bello, ricco e amante della vita fino al midollo. Una mattina, mentre sta andando a lavoro, una moto lo investe rendendolo tetraplegico.
Le loro strade si incontrano quando Lou perde il lavoro alla caffetteria e si iscrive ad un centro per l’impiego. Dopo diversi tentativi falliti, le propongono un lavoro di sei mesi dove dovrà fare compagnia ad un tetraplegico. La ragazza è titubante nonostante le abbiano assicurato e precisato che non dovrà somministrare medicine o occuparsi dell’igiene intima del paziente, ma alla fine, sotto l’insistenza dei genitori, cede e accetta il lavoro.
Inutile dire che tra Will e Lou non sarà amore a prima vista, ma lui si comporterà in modo sgradevole ed irritante fino a che… non vi svelo nulla, perché sapete già come andrà a finire: qualsiasi coma immaginiate possa succedere, succederà.

Questo romanzo è l’insieme di tutti i luoghi comuni presenti nei romanzi rosa cui l’autrice ha voluto aggiungere una nota ancora più tragica: la tetraplegia. Quello che è arrivato a me e che mi ha decisamente irritata, è che l'autrice, consapevole di star scrivendo l'ennesimo banale romanzetto rosa, abbia avuto la bella pensata di inserire l'incidente e la paralisi di Will per riabilitare in qualche il romanzo insulso che in realtà è. E a quanto pare ha funzionato perché sono davvero in tanti ad aver amato questo libro. E, per carità, una lacrimuccia alla fine l'ho versata anch'io, ma il sillogismo verso una lacrima per i bei libri, ho pianto per "Io prima di te", allora io prima di te è un bel libro secondo me non funziona proprio per nulla. Perché un romanzo che parla di tetraplegia, di morte dolce, di sentimenti può anche far piangere all'ultima pagina, ma deve anche aver toccato corde profonde prima, cosa che questo libro non ha fatto essendo composto da una serie infinita di luoghi comuni e banalità degne di un qualsiasi feuilleton di bassa lega.
Cigliegina sulla torta, se qualcuno di voi ha letto “Il diavolo custode” non farà alcuna fatica a trovare un sacco di somiglianze e analogie tra la storia di William e quella di Philippe. L’unica accortezza della Moyes è stata quella di sostituire l’amicizia con l’amore creando una storia prevedibile e insulsa dalla prima all’ultima pagina. E non avete idea l'ira funesta che ha suscitato in me questa scopiazzatura nemmeno troppo velata fatta nei confronti di un libro che io ho amato molto.
Insomma, ascoltate me, state alla larga da questa fregatura perché ci sono davvero un sacco di altri romanzi che parlano d'amore e che sono decisamente più belli e più meritevoli di questo.




mercoledì 10 aprile 2013

Liebster Award 2013


Tornare sul blog e trovarsi questo premio è davvero un grande piacere, anche perché ci è stato assegnato da tre blog che a me piacciono molto. Due li ho scoperti proprio grazie al Liebster Award e devo dire che ho iniziato a seguirli con piacere perché meritano proprio e ringrazio tantissimo Federica, Monika e Valentina per avere pensato a noi.

Bando alle ciance, passiamo a alle regole del gioco:

- ringraziare i blog che ti hanno assegnato il premio citandoli nel post
- rispondere alle undici domande poste dal blog stesso
- scrivere undici cose su di te
- premiare, a tua volta, undici blog con meno di 200 followers
- formulare altre undici domande a cui gli altri blogger dovranno rispondere
- informare i blogger del premio assegnato
Ringraziare è stata la parte più facile, ora bisogna rispondere!

Le domande di Valentina di Di tutto e di più sui libri

1. Quanti libri che devi ancora leggere possiedi?

Uh che domanda brutta brutta... secondo aNobii sono 124, ma non ho inserito tutti gli ebook che ho in una apposita cartella sul desktop del pc. Se lo facessi il numero aumenterebbe drasticamente...

2. Riesci a leggere almeno 2 libri "contemporaneamente"?

No, leggere due libri insieme è una cosa che non faccio proprio mai perché farei una confusione tremenda, senza contare che se uno dei due libri mi piacesse di più, finirei con lo smettere di leggere l'altro.

3. Presti volentieri i tuoi libri?

Sì, molto volentieri. Penso che sia un atto di profonda amicizia condivedere con qualcuno i libri che ci sono piaciuti e che abbiamo amato di più. Così come lo è riceverli in prestito.

4. Che rapporto hai con i segnalibri (usi sempre lo stesso, lo cambi a seconda del libro, usi la prima cosa che ti capita???) Racconta!

Io AMO i segnalibri. Ne ho una marea e ne compro sempre di nuovi quando ne trovo che stuzzicano la mia fantasia. E li uso tutti! Li ho in un cassetto e li cambio a seconda dell'umore e di quello che il libro mi trasmette.
In passato, prima di venir affetta da questa mania, mi è capitato di usare cose a caso quali cartoline, schede telefoniche, foglietti di carta e post-it.

5. Un libro che hai amato con tutto il cuore?

Solo uno? E' un numero troppo risicato... comunque se uno solo deve essere direi proprio "La lunga vita di Marianna Ucria" di Dacia Maraini che porto e porterò sempre nel cuore perché è stato il romanzo che mi ha fatto innamorare del libro e della lettura.
Poi ce ne sono stati molti altrI. "Novencento" e "Seta" di Alessandro Baricco, "Molto forte, incredibilmente vicino" di Jonathan Safran Foer, "L'ombra del vento" di Carlos Ruiz Zafòn, "Il senso dell'elefante" di Marco Missiroli, "La pioggia prima di cada" di Jonathan Coe, "Le regole della casa del sidro" di John Irving... e potrei andare avanti all'infinito, ma doveva essere uno solo e io ho già barato...
6. Il tuo posto preferito per leggere?

Quando ancora non ero sposata e vivevo dai miei avevo un pouf di quelli pieni di palline di polistirolo, sul quale mi tuffavo per poi scavarmi un antro comodo e avvolgente dove stavo a leggere per ore. Adesso che mi sono trasferita nella casetta mia e di mio marito il soggiorno è un po' più piccolo e il pouf non sono riuscita a portarlo dietro, per cui leggo sul divano oppure nel letto.

7. Una tua strana "mania letteraria"?

Più che una mania è una compulsione: se un autore mi ispira, pur non avendo mai letto nulla di suo, compro sempre due se non tre romanzi sui insieme. E' più forte di me, non ce la faccio a comprare un solo libro e comprare i successivi solo dopo aver verificato che il suo stile è nelle mie corde. Stessa cosa vale per le serie che acquisto sempre in massa (salvo i casi in cui i libri siano sette, otto, dieci o più).

8. Ebook o cartacei?

Entrambi. Continuo a preferire la carta, ma trovo gli ebook estremamente comodi e vantaggiosi, soprattutto adesso che hanno prese piede anche in Italia e si trovano a prezzi abbastanza ragionevoli.

9. Descrivi la tua giornata ideale invernale, in compagnia di un libro.

Il cielo grigio e la pioggia costante, il freddo di fuori che si infrange contro i vetri e la leggere condensa che lascia su di essi. Il fuoco del caminetto accesso, io sul divano con la coperta, Trilli (la nostra micetta) accoccolata in grembo, mio marito accanto a me e una tazza di tè fumante a portata di mano sul tavolino. This is the Heaven!

10. Descrivi la tua giornata ideale estiva, in compagnia di un libro.

Il sole caldo, la sabbia sotto le dita, un lettino sotto l'ombrellone e lo sciabordio delle onde del mare in sottofondo. This in the Heaven part 2!

11. Ti è capitato di studiare delle materie o degli argomenti solo per piacere personale? Se si, che cosa?

Mi piace molto la psicologia in generale, la letteratura americana dai primi del '900 ad oggi e la letteratura inglese. E mi è capitato di comprare libri per approfondire questi argomenti.

Le domande di Monika di A lovely bookshelf on the wall
1. Which season is your favorite time of the year? (Qual'è la tua stagione preferita?)

Adoro sia l'autunno che la primavera. Hanno colori stupendi e il passaggio dal caldo al fresco e dal freddo al tiepido mi da sempre una sensazione di benessere e di energia.

2. Have you lived in different places, or always lived in the same town? (Ha vissutto in diversi posti oppure hai sempre vissuto nello stesso paese?)

Ho sempre vissuto in questo piccolo paese in provincia di Torino dove vivo tutt'ora. Ho solo cambiato casa, ma mi sono sposata di pochi metri.

3. What was your favorite childhood book? (Qual è stato il tuo libro d'infanzia preferito?)

Da piccola non leggevo praticamente nulla a parte il Topolino. Ma crescendo ho recuperato e ho letto alcuni libri per bambini e posso dire che mi piacciono molto "La fabbrica di cioccolato" e "Le streghe" di Roald Dahl.

4. Do you speak or read any other language(s) besides your native language?  (Parli o leggi qualche altra lingua oltre alla tualingua madre?)

Parlo inglese e francese, ma leggo solamente libri in inglese forse perché la letteratura francese è meno conosciuta qui da noi rispetto a quella americana e inglese.

5. Do you sing or play a musical instrument? (Canti o suoni uno strumento musicale?)

Una volta cantavo nel coro della chiesa, ora lo faccio solo più per diletto e, fino a 18 anni, ho suonato il pianoforte. Poi l'ho miseramente abbandonato e adesso non saprei direi se sarei ancora in grado di combinare qualcosa oppure no...

6. What's your favorite ice cream flavor? (Qual è il tuo gusto preferito di gelato?)

Il fior di latte, senza alcun dubbio!

7. What are your top 3 favorite websites? (Quali sono i tuoi primi tre siti preferiti?)

Amazon (nonostante tutte le polemiche io mi ci trovo bene e continuo ad acquistare), Cuore d'Inchiostro (il blog della mia adoVata Sonia) e il sito e il blog di fotografia di Fabio Camandona che ormai venero come sommo esperto in materia.

8. Which 3 words would you use to describe yourself? (Quali tre parole useresti per descrivere te stesso?)

Impulsiva, timida, testarda.

9. Where is your favorite place to blog? (From home, a café, etc.) (Qual è il tuo luogo preferito da cui bloggare?)

Di solito lo faccio dall'ufficio semplicemente perché ho il pc sempre accesso e disponibile. A casa, invece, sono pigra e non lo accendo quasi mai anche perché ci passo già buona parte della mia giornata in ufficio.

10. What book character has been most memorable for you? Why? (Quale personaggio di un romanzo è stato per te più memorabile? Perché?)

Questa è una domanda davvero difficile, ma pensandoci bene direi Oskar, il bambino protagonista di quella meraviglia di romanzo che è "Molto forte, incredibilmente vicino" di Jonathan Safran Foer perché vedere il mondo attraverso ai suoi occhi è un'esperienza profonda e toccante, che scava in te e fa risuonare corde di solito sopite.

11. What is your favorite thing about blogging? (Qual è la cosa che preferisci circa l'avere un blog?)

La possibilità di conoscere persone nuove, poter scambiare con loro pareri, opinioni, pensieri e consigli sui libri e su altre cose e, a volte, diventare anche amici.

Le domande di Federica de La Fede librovora

1) Ti piace prestare i tuoi libri? 

Sì, molto. come dicevo anche prima, lo trovo un bel gesto di amicizia condividere un libro che mi ha appassionato.


2) Rileggi i libri che ti sono piaciuti? L'ultimo? 

No, non rileggo quasi mai nulla perché ci sono tantissimi libri che non ho ancora letto e che vorrei leggere e, rileggendo, mi sembra quasi di sprecare tempo. Però ogni tanto faccio un'eccezione e rileggo i romanzi di Jane Austen oppure i libri della saga di Harry Potter. E l'ultimo che ho riletto, poco tempo fa, è stato proprio "Harry Potter e la camera dei segreti".


3) In che modo disponi i libri sugli scaffali? 

Assolutamente a caso. Quando mio marito ed io siamo andati a vivere insieme ha tentato di sistemare con un ordine preciso la libreria, ma io non ce la faccio a rispettarlo. restano alcuni residui di quel tentativo in quattro scaffali: quello dei classici italiani e stranieri, quello dei classici greci e latini, quello che contine i libri di Harry Potter e della saga di "Queste oscure materie" e quello dove abbiamo sistemato i libri di Dan Brown, Glenn Cooper e la saga di Bourne. In più c'è uno scaffale sul quale sistemo i libri che devo ancora leggere in attesa di impilarli sul comodino o sul tavolino del soggiorno a gruppi di quindici/venti per volta.

4) Che tipo di copertine preferisci? 

Non c'è un tipo di copertina in particolare che mi piace, però amo molto quelle colorate della Marcos y Marcos e quelle della Isbn. Le altre se sono particolari mi colpiscono sempre.


5) Titoli corti o titoli lunghi? 

Anche qui la lunghezza è ininfluente, è il contenuto del titolo che mi colpisce, indipendentemente dalla sua lunghezza che è una cosa a cui prorpio non faccio caso.

6) Ti piacciono i libri che parlano di animali? 

Sì, ma ne leggo pochi perché mi trasformo inevitabilmente in una fontana, visto che la maggior parte delle volte poi gli animali muoiono...


7) I libri devono trasmettere un messaggio secondo te? 

Assolutamente sì! E sono davvero pochi, per fortuna, i libri che non lo fanno e che, secondo me, non hanno nulla da dire.

8) Hai una scorta di libri da leggere o li compri man mano? 

Di solito ho sempre una scorta infinita di libri che si autoalimenta da sola perché, se vedo uno o più libri che mi interessano, tendo a comprarli subito. E poi approfitto quasi sempre degli sconti e delle offerte delle case editrici. Già che ci sono sarebbe stupido farsele sfuggire, no?

9) Qual è il libro che ti ossessiona in questo momento? 

"Il club dei desideri impossibili" di alberto Blandina Torres al quale corro dietro da parecchi mesi, ma sul quale non sono ancora riuscita a mettere le mani.
 

10) Il libro più bello letto nel 2013 fin'ora? 

Il più bello in assoluto è stato Il senso dell'elefante di Marco Missiroli.

11) Quanti libri progetti di leggere nel 2013? 

Almeno un centinaio, poi più sono e meglio è!


E ora è il momento di raccontarvi 11 cose su di me:

1. Ho trovato la mia anima gemella e il 12 maggio di quest'anno festeggeremo il nostro primo stupendo anno di matrimonio.
2. Tendo a preoccuparmi in anticipo per ogni cosa, prevedendo scenari catastrofici che alla fine si rivelano una bolla di sapone.
3. Ho riscoperto la mia passione per fotografia grazie al già menzionato Fabio e alla sua splendida Simona (e concedetemi un po' di pubblicità: sia che siate appassionati di fotografia sia che non lo siate, fatevi un giro sul suo sito web e sulla pagina facebook dello studio che ha con sua moglie. Le loro foto semplicemente stupende, tolgono il fiato e ispirano tutto l'ispirabile).
4. Lavoro con mia mamma, mio papà e mio marito e le cose funzionano alla grande! (e non ne ero poi così convinta)
5. Detesto il gruppo di amici e lo sacrifico molto volentieri con i pochi ma buoni che ci sono sempre quando hai bisogno e non si fanno sentire solo quando è ora di fare casino e cazzeggiare per locali (sì, sono asociale e me ne vanto!).
6. Ho stretto amicizie profonde e speciali con persone, più o meno vicine, conosciute sul web. E ne sono felice.
7. Porto sempre un libro con me ovunque io vada e trovo sempre il tempo per leggere qualche pagina.
8. Adoro il film "Tutti insieme appassionatamente" e sono follemente innamorata di Julie Andrews e Christopher Plummer (e confesso che da piccola ci sono rimasta veramente male quando ho scoperto che loro due non erano sposati per davvero).
9. Quando ero bambina guardavo e riguardavo i cartoni animati e i film che mi piacevano di più fino alla nausea e conoscevo a memoria ogni scena e ogni battuta di ognuno di essi.
10. Ho iniziato a leggere e ad amare la lettura in prima superiore e non ho più smesso (prima copiavo le recensioni dei libri da internet oppure leggevo una pagina sì e dieci no).
11. Amo alla follia la pizza al punto che la mangerei quasi tutti i giorni.

Di seguito gli 11 blog che ho deciso di premiare:

Start from Scratch
Appoggiato sul comodino
I libri ci salvano
Peek-a-book
Bulimia letteraria
Scarabocchi di pensieri
Memoria Rem
Appunti di una lettrice
Dissertazioni libresche semiserie
LibrAngolo Acuto
Life in technicolor

Ed infine ecco le 11 domande a cui dovranno rispondere gli 11 blog a cui ho assegnato il premio:

1. Cosa rappresenta per te il blog che hai aperto?
2. Leggi prima il libro e poi guardi il film oppure prima guardi il film e poi leggi il libro?
3. Qual è il tuo colore preferito?
4. Ami la poesia oppure è un genere a cui non ti sei mai approcciato? Perché in ogni caso?
5. Tagedia o commedia?
6. Preferisci il mare o la montagna?
7. Ami viaggiare? Perché?
8. Ti piace questo mondo sempre più social oppure era meglio prima?
9. Qual è il ricordo più bello che hai? E il più brutto?
10. Qual è il tuo piatto preferito?
11. Hai un sogno nel cassetto? Se sì, qual è?

That's all folks!


Here we are another time!




Un lungo iato, un periodo di riflessione, di pensieri contrastanti e di ripensamenti. Causa problemi personali derivanti dalla vita di tutti i giorni abbiamo mollato, anche influenzate da polemiche che con “la vita vera” non avevano nulla a che fare; ma alla fine siamo tornate perché parlare di libri ci piace. Ci piace leggerli e commentarli, criticarli o apprezzarli e ci piace fare tutto questo condividendolo con voi che ci seguite e supportate.

Come sapete eravamo in tre, ma adesso rimarremo in due perché Elisa ha definitivamente detto addio. Alessia ed io invece siamo delle vere die hard, cocciute e chiacchierone rompiscatole, per cui eccoci di nuovo qui.
In un primo tempo sarò solo io, Francesca, a rompervi all'inverosimile, Alessia apparirà sporadicamente per adesso, poi, appena la situazione lavorativa si starà calmata e stabilizzata, tornerà attiva più che mai anche lei.
Lost in Good Books ritorna e riprende la sua attività dopo questi mesi di silenzio, ma ci saranno alcuni cambiamenti.

Innanzitutto le rubriche: sparirà il “Recommend a…” perché, sembrerà stupido, ma lavorando tutto il giorno con i bambini e con i clienti più o meno rompiscatole, il tempo è risicato e la sera, arrivate a casa, molto spesso l’ultima cosa che abbiamo voglia di fare è accendere il pc perché è lunedì e bisogna scrivere la rubrica. Uno dei moniti che ci siamo imposte riesumando il blog è che tutto quello che scriviamo, postiamo, diciamo, lo facciamo perché ci piace, perché abbiamo voglia di farlo, perché ci rilassa parlarne. Se diventa un secondo lavoro serale e una forzatura, lo scopo di svago che per noi ha questo blog salta inevitabilmente.

Sparirà anche la rubrica “Prossimamente in libreria” perché le novità letterarie sono davvero davvero tante e, più o meno per gli stessi motivi elencati sopra, non riusciamo a star loro dietro.

Diremo addio anche a "Dal libro al film" perché meglio pochi ma buoni.

Rimangono, invece, “Libri in vacanza” che aggiorneremo in tempi di ferie o di brevi vacanze perché ci fa piacere condividere con voi le nostre letture di svago e la rubrica “Libri nel carrello” che non avrà cadenza fissa ma apparirà solo quando avremo fatto nuovi acquisti e ne parleremo con voi.

Ovviamente resteranno le recensioni dei libri che abbiamo, che ci siano piaciuti o meno e, ogni qual volta una notizia, un avvenimento, un dibattito o una polemica stuzzicheranno il nostro interesse, noi saremo qui, pronte a scriverne e a discuterne con voi.

Quindi ci siamo, rimontiamo in sella alla bicicletta e ci prepariamo a pedalare. Ci scusiamo per il lungo silenzio, ma speriamo che abbiate ancora voglia di seguirci e commentarci come prima e anche di più!