Titolo: Un giorno solo, tutta la vita
Titolo Originale: The Lost Wife
Autore: Alyson Richman
Traduttore: I. Zani
Editore: Piemme
Pagine: 342
Data di pubblicazione: 01 Gennaio 2012
ISBN: 9788856622362
Prezzo: 18.00 €
Questa storia inizia a New York nel 2000, quando, alle nozze del nipote, Josef Kohn scorge tra gli invitati una donna dall’aria familiare: gli occhi azzurro ghiaccio, l’ombra di un tatuaggio sotto la manica dell’abito. Rischiando di essere scortese, le chiede di mostrargli il braccio. La certezza è lì, sulla pelle: sei numeri blu, accanto a un piccolo neo che lui non ha mai dimenticato. E allora le dice: «Lenka, sono io. Josef. Tuo marito».
Perché questa storia, in realtà, inizia a Praga nel 1938, quando Lenka e Josef sono due studenti. Ebrei, si conoscono poco prima dell’occupazione nazista, si innamorano, diventano marito e moglie per lo spazio di una notte. Il giorno dopo, al momento di fuggire negli Stati Uniti, Lenka decide di restare, perché non ci sono i visti per la sua famiglia. Si separano con la promessa di ricongiungersi al più presto, ma Lenka finisce in un campo di concentramento.
In mezzo all’orrore, dipinge: l'unico modo per dare colore a ciò che è privato di luce, per dare forma a ciò che non si può descrivere. Mentre Josef, in America, si specializza in ostetricia; solo aiutare a dare la vita gli impedisce di essere trascinato a fondo dalle voci di chi non c’è più.
Quando ormai si crederanno perduti per sempre, ci sarà un nuovo inizio per entrambi. Ed entrambi impareranno che l’amore può anche essere gratitudine per chi ti ha salvato la vita, affinità tra anime alla deriva, rispetto di silenzi carichi di dolore. E di confini da non valicare, perché al di là si celano – intatti e ostinati – i ricordi di una passione assoluta, di quelle che basta un istante per accendere, ma non è sufficiente una vita per cancellare.
Questa storia inizia e non ha mai fine. Come i grandi amori.
Tendo sempre a tenermi lontano dai romanzi che parlano dell’Olocausto, delle deportazioni, dei campi di concentramento. Principalmente perché non ce la faccio a leggerli senza star male, piangere e sentirmi il cuore che si riempie di tristezza e d’incredulità per tutto quello che un uomo ed i suoi seguaci sono riusciti a concepire ed attuare. E poi anche perché sono fermamente convinta che leggere di questi avvenimenti non potrà mai lontanamente farci capire, nemmeno in parte, quello che è stato vissuto e provato da chi tutto quell’orrore l’ha sentito sulla propria pelle.
Nonostante questo, però, anch’io tendo a costruirmi
regole che poi infrango proprio come in questo caso.
Qualche mese fa mi è arrivato un sms da Alessia in cui mi
diceva che aveva iniziato a leggere Un giorno solo, tutta vita, che era
stupendo e che avrei dovuto leggerlo assolutamente anch’io. Una citazione
tratta dal libro ha fatto il resto e così, un sabato pomeriggio mentre ero al
supermercato a fare la spesa con mio marito, ho visto questo romanzo che faceva
capolino da uno scaffale e l’ho comprato.
Se, come me, avete l’abitudine di cercare il titolo
originale dell’opera prima di cominciare il romanzo, scorgendo The lost wife
potete già immaginare quale sarà la storia.
Josef è alle nozze del nipote e vede nella sposa di lui i
tratti familiari di una donna che fa parte della sua memoria, il suo primo
amore, la moglie sposata presto e troppo presto perduta. Poi si volta e ad un
tavolo la vede: è lei, ne è sicuro, è la sua Lenka che per anni ha creduto
essere morta gassata o bruciata ad Auschwitz. Le si avvicina, la chiama, le
sfiora il braccio e, vedendo il neo sul polso, è certo di avere ritrovato la
sua moglie perduta.
E da qui partono i ricordi del passato: nel libro si
alternano le voci di Josef e Lenka che raccontano il loro passato comune,
quello che hanno vissuto separati a causa della guerra, a causa della decisione
di Lenka di non partire per New York con il suo sposo per non abbandonare la
sua famiglia, lui che tenta disperatamente di lasciare andare il fantasma di
lei e di rifarsi una vita, lei che cerca di sopravvivere come può all’orrore
dei campi di concentramento.
Questo romanzo potente è una storia d’amore ma anche di
sofferenza e di speranza, che mi ha fatto riflettere parecchio: mi sono
ritrovata a pensare più volte come mi sentirei se fossi obbligata a separarmi
dall'amore della mia vita, come mi sentirei se vedessi morire le persone a me più care, se
mi ritrovassi d’un tratto sola in un mondo sconvolto che stento a riconoscere.
Mi sono ritrovata a pensare che ci si può affezionare ad
una persona, amarla di un amore diverso che è pur sempre amore, per il solo
fatto che chi hai accanto ti può aiutare in qualche modo a stare a galla in un'
esistenza fatta di quasi nulla.
Inizialmente ero molto scettica perché pensavo di avere
tra le mani una sorta di harmony che si era tentato di riabilitare inserendo l’amore
nel contesto terribile dell’Olocausto, invece non è stato così e non deve
essere stato facile, per l’autrice, non cadere mai nel banale, nello sdolcinato
e nello scontato.
Leggetelo, perché vi lascerà molto.
Non posso far altro che quotare ogni singola parola. Questo libro è disarmante... è una bellissima storia d'amore in un mondo di devastazione.
RispondiEliminaAmor vincit omnia.