Pagine

sabato 29 settembre 2012

Pane e Acqua di Rose - Marhsa Mehran



Titolo: Pane e acqua di rose
Titolo originale:
Rosewater and Soda bread
Autore: Marsha Mehran
Traduttore: C. Brovelli
Editore: Neri Pozza
Pagine: 286
Data di pubblicazione: 01 Gennaio 2009
ISBN:
9788854503038
Prezzo: 16.50 €

Sinossi:
Sulla Main Mall, la strada principale tortuosa e acciottolata di Ballinacroagh, rispettabile cittadina della costa irlandese, c’è un punto in cui il vecchio e il nuovo hanno deciso di darsi appuntamento. Su un lato della strada vi è il negozio di reliquie Reek, un’ammuffita confusione di crocifissi, preghiere laminate, boccette d’acqua santa e di tutti gli armamentari connessi a san Patrizio. Sul marciapiede opposto, invece, un pesante edificio di pietra, dove spicca una vivace porta rossa con le imposte viola. Da quelle imposte fuoriescono ogni giorno odori licenziosi di strane spezie, vapori inebrianti di piatti che attirano folle di ingordi e hanno spinto il Connaught Telegraph a dichiarare che là è custodito «il segreto meglio conservato della contea di Mayo». Un segreto culinario, beninteso, visto che al di là di quella porta cremisi c’è il Caffè Babilonia delle tre sorelle Aminpour, le ragazze iraniane giunte a Ballinacroagh ormai da qualche anno. A parte i borbottii quotidiani della signora Quigley, vedova perpetua di James Ignatius Quigley e arbitro autoproclamatosi di tutto ciò che è decente e sacro a Ballinacroagh, quell’incrocio di vecchio e nuovo non suscita affatto scandalo nel villaggio, dove la quiete regna sovrana. Un giorno, però, un evento inaspettato mette a soqquadro l’intera cittadina irlandese. Estelle Delmonico, la panettiera italiana approdata tempo fa a Ballinacroagh col marito coi baffoni e un bel carico di caffè e sfogliatelle, trova, sulla spiaggia ai piedi della collina su cui si erge il suo cottage, una ragazza seminuda e quasi morta. I capelli castano rossicci, il viso magro, le mani meravigliose e la pelle così delicata da sembrare pasta sfoglia, la ragazza, a giudicare dal colorito, sembra aver perso molto sangue. Estelle la porta nel suo cottage e, con l’aiuto del medico, non tarda a scoprire che la meravigliosa sirena deve aver tentato di porre fine alla vita che porta in grembo, al bambino di cui è in attesa. Chi è quella ragazza dalle mani così strane? Da dove viene? E perché ha scelto di fare quello che ha fatto alla baia? E perché, infine, si rifiuta di rispondere a qualsiasi domanda?Le voci corrono nella ridente e rispettabile cittadina irlandese e animano le già movimentate sere al Caffè Babilonia. Con la sua scrittura davvero unica e la sua magica miscela di culture e mondi differenti, Marsha Mehran ci offre, con Pane e acqua di rose, un avvincente seguito di Caffè Babilonia e delle avventure delle sorelle Aminpour, ragazze iraniane in terra d’Irlanda.

Scrivere il seguito di un romanzo credo sia quasi un’impresa titanica, soprattutto se il primo è stato un successo perché sai che il tuo pubblico, quando aprirà il nuovo libro, avrà delle aspettative ben precise. Non invidio dunque per niente Marhsa Mehran che ha deciso di raccontarci le avventure delle sorelle Aminpour in una serie composta da sette libri, due di cui in corso di pubblicazione in Inghilterra.

Per ora devo dire che l’autrice se l’è cavata abbastanza bene, anche se, lo ammetto, questo secondo libro mi ha coinvolto un pochino meno rispetto al prima, ma solo perché manca il piacere della scoperta che si prova quando si legge una storia di cui non si conosce nulla, nemmeno i personaggi.

Anche qui, infatti, ritroviamo le tre sorelle Marjan, Bahar e Layla alle prese con il loro Caffè Babilonia che, nonostante i pregiudizi di alcuni abitanti del paese, prosegue la sua attività senza intoppi.
Laya, la più piccola delle tre, è sempre fidanzata con Malachy ed entrambi devono cercare di tenere un po’ a freno gli ormoni adolescenziali che scalpitano senza sosta.
Scopriamo che Bahar ha finalmente trovato un nuovo inizio, accantonando quasi definitivamente le sofferenze che ha dovuto patire in Iran, e scoprendo una nuova fede.
Marjan, invece, deve fare i conti con se stessa e con il passato che ha lasciato a Teheran, soprattutto ora che alla sua porta bussa una nuova possibile felicità.
E poi c’è la mitica signora Estelle Delmonico che un giorno, durante una delle sue passeggiate sulla spiaggia volte ad alleviare le sofferenze provocatele dell’artrite, trova una diafana ragazza dai capelli rossi e dalle dita strane in fin di vita. Saranno lei e la maggiore delle sorelle Aminpour a rimetterla in sesto e a scoprire la sua storia.

Se nel precedente romanzo l’antagonista era Thomas McGiure ed era Bahar quella delle tre sorelle su cui maggiormente si incentrava la storia, qui invece troviamo Dervla Qigley impegnata a screditare con ogni mezzo e maniera le tre protagoniste e a riversare su di loro, su Estelle e sulla misteriosa ragazza il suo razzis maniacale; mentre, delle tre sorelle, è Marjan quella su cui si concentra maggiormente la narrazione.
Inoltre, viene posto maggiormente l'accento su quanto sia difficile accettare persone di altre etnie in piccole comunità, di quanto sia difficile integrarsi e di quanto forti e insensati possono essere i pregiudizi che, se estremizzati, possono  provocare non pochi danni alle persone contro cui sono rivolti.

Grande merito della scrittrice è la sua capacità di descrivere i personaggi di cui narra, sia fisicamente che caratterialmente: anche quelli secondari e più marginali, infatti, vengono descritti con una nitidezza e quantità di particolari che sembra davvero di essere a Ballinacroagh ad assistere al carosello di vita e pettegolezzi tipici dei piccoli paesi di ogni dove.
Quindi, pur essendo un secondo capitolo, direi che la sua autrice se l’è cavata egregiamente costruendo di nuovo una trama ben strutturata, anche se dal ritmo più lento e meno concitato rispetto a quella di Caffè Babilonia.

Ora non ci resta che aspettare che gli atri romanzi di questa saga sbarchino in Italia e sperare che saranno all’altezza dei primi due.

mercoledì 26 settembre 2012

Il linguaggio segreto dei fiori - Vanessa Diffenbaugh

Titolo: Il linguaggio segreto dei fiori
Titolo originale: The language of flowers
Autore:
Vanessa Diffenbaugh
Traduttore: Alba Mantovani
Editore: Garzanti
Pagine: 359
Data di pubblicazione: Maggio 2011
ISBN:
9788811686613
Prezzo: 18,60 €

Sinossi: Victoria ha paura del contatto fisico. Ha paura delle parole, le sue e quelle degli altri. Soprattutto, ha paura di amare e lasciarsi amare. C'è solo un posto in cui tutte le sue paure sfumano nel silenzio e nella pace: è il suo giardino segreto nel parco pubblico di Portero Hill, a San Francisco.
I fiori, che ha piantato lei stessa in questo angolo sconosciuto della città, sono la sua casa. Il suo rifugio. La sua voce.
È attraverso il loro linguaggio che Victoria comunica le sue emozioni più profonde. La lavanda per la diffidenza, il cardo per la misantropia, la rosa bianca per la solitudine.
Perché Victoria non ha avuto una vita facile.
Abbandonata in culla, ha passato l'infanzia saltando da una famiglia adottiva a un'altra.
Fino all'incontro, drammatico e sconvolgente, con Elizabeth, l'unica vera madre che abbia mai avuto, la donna che le ha insegnato il linguaggio segreto dei fiori.
E adesso, è proprio grazie a questo magico dono che Victoria ha preso in mano la sua vita: ha diciotto anni ormai, e lavora come fioraia. I suoi fiori sono tra i più richiesti della città, regalano la felicità e curano l'anima. Ma Victoria non ha ancora trovato il fiore in grado di rimarginare la sua ferita.
Perché il suo cuore si porta dietro una colpa segreta.
L'unico capace di estirparla è Grant, un ragazzo misterioso che sembra sapere tutto di lei. Solo lui può levare quel peso dal cuore di Victoria, come spine strappate a uno stelo. Solo lui può prendersi cura delle sue radici invisibili.

Io e questo romanzo abbiamo avuto una relazione complicata. Ho iniziato a leggerlo a Marzo e a 100 pagine dalla fine l'ho mollato lì, in stand-by. La storia mi piaceva, ma non riuscivo a provare empatia, a emozionarmi insieme a Victoria, e non mi colpiva in particolar modo lo stile della Diffenbaugh. 
Poi l'altra sera, l'ho visto lì, sulla libreria: mi ricordavo la storia nei dettagli e ho pensato che avrei potuto finirlo, invece che lasciarlo lì a metà.
Missione compiuta. 
Ugualmente sono rimasta un po' così. La vita di Victoria, la narrazione con i flashbacks sul suo passato, la sua difficoltà a investire emotivamente nei confronti di un altro essere umano, sono tutti ingredienti perfetti che vestono alla perfezione il romanzo di quel sentimentalismo mai eccessivo.
Tuttavia non sono proprio riuscita a entrarci. Era come se stessi leggendo tutto da fuori, osservatrice attenta ma non partecipe delle vicende.
Non è scattata la scintilla che cerco quando leggo questo genere di storie. Ma questo è un mio limite ed è un'altra storia rispetto al romanzo, che resta lo stesso una piccola perla.
Merito dell'autrice è comunque quello di aver creato un personaggio complicato, ma reale, di aver reso un ritratto vivido di una vita spesa a cercare delle radici, avendo paura di trovarle, vivendo perennemente accompagnati da un senso di inadeguatezza. L'unica cura in grado di lenire le ferite della sua anima sono i fiori, che Victoria adora e venera, grazie a una persona speciale che purtroppo ha perso a causa della sua grande paura dell'abbandono.
L'amore si sa, non conosce confini, e forse anche per Victoria c'è una speranza, che si chiama Grant.
Con molta pazienza e usando il linguaggio dei fiori, riuscirà a far breccia nel suo cuore, superando il muro di diffidenza che la ragazza ha costruito.
Leggetelo, perchè lo merita!

I blogger e i critici letterari



Ieri sera mi è capitato di leggere un articolo, segnalato su Facebook dalla casa editrice Neri Pozza, in cui Sir Peter Stothard, critico letterario e giudice del Man Book Price, afferma che i blog dedicati ai libri, nei quali vengono espresse le opinioni dei blogger che li hanno creati, stanno uccidendo la critica letteraria.

Mi permetto di dissentire totalmente da quanto affermato nel suddetto articolo perché un conto è la critica letteraria, un conto sono le opinioni da lettore che vengono espresse dai blogger nei loro spazi cibernetici dedicati ai libri.

Credo sia necessario distinguere bene la figura del critico letterario, cioè colui che conosce e padroneggia l'insieme di strumenti teorici e pratici, contenuti e studi, giudizi e spiegazioni dedicati alla valutazione della letteratura in generale o in riferimento a specifiche opere letterarie o insiemi di opere (definizione tratta da Wikipedia), dalla figura del blogger che, invece, è colui che per passione, divertimento e quant'altro, ha deciso di aprire un blog nel quale condivide con gli altri visitatori del web le sue impressioni circa quello che il libro letto gli ha trasmesso, lasciato e quant'altro.

Penso sia ben evidente la differenza tra le due figure: il primo è uno studioso che ha acquisito le capacità necessarie per fare un'analisi del testo molto più approfondita e che va ben al di là di ciò che un libro può trasmettere a livello emozionale; il secondo è una "persona normale" (passatemi il termine) che ha deciso di scrivere, in uno spazio pubblico, ciò che pensa di quello che ha letto, senza avere i mezzi posseduti da un critico letterario.
Uno fa un'analisi asettica e impersonale del testo, l'altro spiega invece quali corde del suo animo sono state toccate dalla lettura del testo.

Non è per tirare l'acqua al nostro mulino, ma credo che ai blog letterari vada il merito di rendere la lettura un po' più vicina a tutti. Perché, diciamoci la verità, in un paese come il nostro in cui si leggere veramente poco, se esistessero solo riviste o siti di pura critica letteraria sono fermamente convinta che il dato statistico di lettura scenderebbe ancora e in modo notevole.
Non sto dicendo di essere contraria alla critica letteraria, anzi! Vorrei che venissero pubblicate più riviste sull'argomento prorpio come succede all'estero, però non si può dire che siano i blogger che stanno mettendo in crisi la critica letteraria.
Le due cose esistono ed è un bene che continuino ad esistere perché, sebbene seguendo strade diverse, hanno lo stesso fine: far conoscere i libri ed incentivarne la lettura.

Vi lascio il link all'articolo in questione, che è però in inglese: The bionic book worm così potete leggerlo e dirci cosa ne pensate.
Sono proprio curiosa di sentire i vostri pareri!

"Nessuno si salva da solo", Margaret Mazzantini



Titolo: Nessuno si salva da solo
Autore: Margareth Mazzantini
Editore: Mondadori
Prezzo: 19,00
Pagine:  189

Sinossi: Delia e Gaetano erano una coppia. Ora non lo sono più, e stasera devono imparare a non esserlo. Si ritrovano a cena, in un ristorante all'aperto, poco tempo dopo aver rotto quella che fu una famiglia. Lui si è trasferito in un residence, lei è rimasta nella casa con i piccoli Cosmo e Nico. La passione dell'inizio e la rabbia della fine sono ancora pericolosamente vicine. Delia e Gaetano sono ancora giovani, più di trenta, meno di quaranta, un'età in cui si può ricominciare. Sognano la pace ma sono tentati dall'altro e dall'altrove. Ma dove hanno sbagliato? Non lo sanno. Tre anni dopo "Venuto al mondo", Margaret Mazzantini torna con un romanzo che è l'autobiografia sentimentale di una generazione. La storia di cenere e fiamme di una coppia contemporanea con le sue trasgressioni ordinarie, con la sua quotidianità avventurosa. Una coppia come tante, come noi. Contemporaneamente a noi.



Il mio amore per questa donna è di dominio pubblico. Per lei sono disposta anche a spendere 19 euro, qualcosa tipo dieci centesimi per ogni singola pagina di romanzo, e se non è amore questo.
Una storia "alla Mazzantini": coppie in crisi, persone che vagano alla ricerca di sè stessi e si scontrano con altre persone con il medesimo problema, tentativi ( spesso falliti) di costruire qualcosa, filosofia contemporanea, riflessioni su piccole e grandi cose, la ricerca dello straordinario nell' ordinario. Donne isteriche e madri al limite del terribile, perchè le donne dei suoi romanzi sono così lontane dall' equilibrio?? 
Io sono un po' di parte, confesso: ho trovato perciò il libro appetibile, interessante, anche se decisamente sottotono rispetto ai precedenti "Venuto al mondo" e "Non ti muovere".
Ma mi sforzo di essere obiettiva nel mettere in luce i difetti del romanzo: cupo, troppo cupo. Vien da dire senza speranza. Non c'è una luce, un bagliore, una possibilità di uscire fuori dal caos creato dalle vite dei protagonisti. Un po' troppo ruvido, manca di dolcezza.
Chi conosce già l' autrice, sentirà la differenza con i precedenti romanzi ma apprezzerà ad ogni modo i tratti salienti della vicenda.
Chi non conosce la Mazzantini...ecco, questo non è il miglior approccio!

martedì 25 settembre 2012

La Sottile Linea Scura - Joe R. Lansdale



Titolo: La sottile linea scura
Titolo originale: A Fine Dark Line
Autore: Joe R. Lansdale
Traduttore: L. Conti
Editore: Einaudi Super ET
Pagine: 300
Data di pubblicazione: 01 Gennaio 2006
ISBN:
9788806185008
Prezzo: 12.00 €

Sinossi:
Nell'afosa estate texana del 1958, il tredicenne Stanley Mitchell lavora nel drive-in del padre, e mette il naso in un segreto che doveva rimanere nascosto. E la «perdita dell'innocenza» di Stanley, in quell'estate in cui il mondo per lui cambia per sempre, coincide con il miracolo di una resurrezione davvero magica. In perfetta naturalezza, Lansdale ricrea le voci, il sapore, la vita, di un tempo scomparso del tutto, come non fosse mai esistito. «Qualunque cosa fosse, temevo che si sarebbe impadronita di me, trascinandomi al di là di quella sottile linea scura che fungeva da confine tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti»: la linea che segna per Stanley la scoperta del male, del dolore e della morte insieme con l'esplosione del sesso e la consapevolezza del conflitto razziale, diventa la parete trasparente da varcare per immergerci, stupiti e riconoscenti, in quegli anni Cinquanta lontani ormai come la preistoria.
La sottile linea scura rievoca le tensioni razziali all'interno delle piccole comunità del Texas orientale, in una sorta di guerra tra poveri che rischia, alla fine, di lasciare solo vinti e nessun vincitore.

Mi sono avvicinata a questo libro un po’ titubate: da un lato mi frenava la recensione a Tramonto e Polvere fatta da Alessia, dall’altra m’incoraggiava l’entusiasmo di Elisa nel dirmi di leggere questo libro prima di altri. Poi ho iniziato a leggerlo ed ogni timore è sparito perché la storia narrata e la scrittura di Lansdale mi hanno trascinato all’interno del romanzo al punto da non riuscire più staccarmi: volevo sapere cosa sarebbe successo dopo, dopo ancora e ancora dopo.

La narrazione viene fatta in prima persona da Stanley Mitchell Jr. che è il protagonista di questa avventura insieme alla sorella e all’amico Richard. Facciamo la sua conoscenza nel momento in cui il padre del ragazzo ha deciso di lasciare il suo lavoro di meccanico e la cittadina dove vivono, per trasferirsi in un piccolo paesino del Texas dove Stanley Senior ha acquistato il drive-in del posto.
Tutto sembra procedere come sempre, le giornate scorrono lente e afose e l’inizio della scuola è ancora lontano fino a che Stanley Jr. inciampa in qualcosa di duro e appuntito seppellito nel giardino della sua nuova casa. Quando lo dissotterra scoprirà essere un cofanetto di metallo arrugginito contenente lettere e pagine strappate di un diario.
Dapprima solo, poi con l’aiuto della sorella Callie, il ragazzo comincia a chiedere in giro notizie di quelle che dapprima sono solo lettere, M. e J., poi diventano persone e infine due ragazze ben precise con una storia e un mistero alle spalle.
Intorno a questa vicenda principale, poi, si snodano le storie e le vite dei genitori di Stanley, della sorella e dei vari giovanotti che le fanno il filo, di Rosy Mae la loro domestica, di Buster il proiezionista del drive-in e di altri personaggi che, seppur secondari, vengono caratterizzati molto bene e con tratti nitidi e netti.

La forza di questo romanzo, secondo me, sta nel fatto che la sua trama non ruota solo intorno al mistero, ben costruito e magistralmente dispiegato al lettore, ma anche e soprattutto perché, attraverso questo mistero, si racconta la perdita di innocenza e il passaggio all’età adulta che tutti noi, prima o poi, attraversiamo.
Mi è piaciuto molto il modo che Lansdale utilizza per raccontarlo, senza contare che le sfumature noir che caratterizzano questo libro sono davvero ben strutturate e ben raccontate.

Aggiungetelo in wish list senza esitazioni!

lunedì 24 settembre 2012

"Trilogia della città di K.", Agota Kristof





Titolo: Trilogia della città di K.
Autore: Agotha Kristof
Editore: Einaudi
Pagine: 379

Sinossi:  Seconda Guerra Mondiale, un luogo imprecisato nell' Est Europa. Klaus e Lucas, gemelli inseparabili, vengono affidati dalla madre alle cure della nonna, una vecchia che abita in un paesino di frontiera:  avida, avara, dedita all' agricoltura e al commercio, chiamata in paese "la strega" e sulla cui testa pende un' accusa ormai lontana nel tempo, un' accusa di omicidio.
 Tra privazioni, cattiveria e aridità, i due crescono ed entrano in contatto con gli aspetti peggiori del conflitto. Quando se ne presenta l'occasione, Klaus scappa attraverso la frontiera, Lucas resta a casa della nonna. Una vita all'insegna dell' attesa del ritorno del fratello, appena movimentata dalla frequentazioni di alcuni personaggi le cui vite hanno del surreale.
Nell' ultima parte, Klaus fa ritorno al paese. Ma i ruoli si ribaltano, si confondono, in un gioco di specchi, di scatole cinesi, il lettore cade nel dubbio. Quanto ci si può fidare della voce narrante? Le cose sono andate proprio così?


Uno dei libri più contorti e affascinanti che mi siano capitati a tiro, potete giurarci.
Il romanzo si compone di tre parti -  Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna -  scritti e pubblicati in anni diversi, in un periodo compreso fra il 1986 e il 1991.
Due parole sullo stile.
Dialoghi molto brevi e concisi, scrittura lucida e priva di sentimentalismi, a tratti quasi "asettica". Le peggio cose vengono raccontate senza mezzi termini, le parole sono come pugnalate.
Due parole sull' atmosfera.
Un senso di chiusura, di mancanza di speranza, di dolore perenne sulla testa dei lettori.
Due parole sul RESTO.
Il resto... Il resto... Come definire il resto? Finzione e menzogna dominano gli ultimi i capitoli, dove si ribaltano i ruoli, si confondono le carte, affiorano mille dubbi sul racconto precedentemente letto, sull' identità della voce narrante, sugli eventi accaduti. Il trionfo dello sconcerto.
Esistono molti pareri a riguardo, è ancora aperto il dibattito sull' interpretazione del romanzo, che via ssicuro, merita sul serio.
Avvertenza al navigante: non è il genere di romanzo adatto a chi cerca la spensieratezza. Vi lascerà ogni tipo di dubbio, e molto probabilmente finirete come il 95% delle persone che l'hanno letto, i quali  RILEGGONO il finale più volte e poi passano il tempo a molestare altri lettori per tirare una conclusione e mettersi l'anima in pace.

Un' analisi molto ben fatta, molto lucida e ragionata la potete trovare qui:
http://www.paricenter.com/library/papers/virginia02.php



Recommend a... trilogy


Buon lunedì e buon inizio settimana. La mia è iniziata in modo decisamente traumatico, speriamo che migliori un pochino da qui a venerdì...

In ogni caso, oggi è lunedì e c'è il nostro consueto appuntamento con Recommend a... che oggi chiede di consigliare una trilogia.

Non è che sia proprio una cosa così semplice come credevo perché mi sono venute in mente un sacco di serie, ma sono tutte composte da più di tre libri.
Poi ho scavato nella mia memoria in modo più approfondito e la trilogia l'ho trovata eccome, e che trilogia! Curiosi eh...
E va bene, ve lo dico, è la trilogia di Queste oscure materie di Philip Pullman.


La saga è composta da La bussola d'oro, La lama sottile e Il cannocchiale d'ambra e, sebbene rientrino nel filone fantasy che io non amo particolarmente, a me sono piaciuti molto perché il rocconto è scorrevole, mai noioso e pesante.
Sebbene possa sembrare una trilogia per bambini e ragazzi, vi posso assicurare che non è così: sono leggibilissimi e godibilissimi anche ad un pubblico di età superiore ai sedici anni.

Ve la consiglio vivamente questa trilogia, leggetela! E poi fatemi sapere :)

Alla prossima!

XOXO

L'orribile Karma della Formica - David Safier

Titolo: L'orribile Karma della Formica
Titolo originale: Mieses Karma
Autore: David Safier
Traduttore: Laura Bortot
Editore: Sperling&Kupfer
Pagine: 267
Data di pubblicazione: Aprile 2009
ISBN: 9788820047184
Prezzo: 8,42€ (Amazon)

Sinossi:
Kim Lange sa benissimo di essere un'arrivista disposta, per la carriera, a sacrificare tutto, marito e figlia compresi. D'altra parte, così facendo, è arrivata a condurre il più noto talk-show televisivo di Berlino ed è all'apice del successo. Ma il destino è sempre in agguato, ed ecco che un assurdo incidente pone fine alla sua vita. O no? Kim non si sta divertendo per niente: ha preso una gran botta in testa e le sembra di sprofondare in un immenso buco nero. Quando riemerge dal blackout, si sente strana, il suo corpo non è quello di sempre, ha una testa gigantesca... un addome assurdo... sei gambe... Orrore! È diventata una formica! La sua vita mal spesa deve essere espiata, e questa è la punizione. Per di più, con i suoi nuovi occhietti da insetto, finisce nel giardino della sua ex casa, dove assiste impotente alle manovre della ex migliore amica che gira attorno, smorfiosa, al suo ex marito. Ora, per la ex Kim, c'è un solo modo per correre ai ripari: rimontare al più presto nella scala delle reincarnazioni per tentare la difficile risalita da insetto a essere umano. Ma la strada purtroppo è lunga, e non c'è più molto tempo. Attraverso quante altre orribili forme animali dovrà passare? Molte: da porcellino d'India a verme, da scoiattolo a vitello, fino a rinascere in una docile cagnetta, e in ciascuna di queste reincarnazioni verrà messa alla prova per dimostrare che il suo sciagurato cattivo carattere è cambiato. 
 
Quando la settimana scorsa ho trovato questo libro a 4€ sugli scaffali del Saturn, per poco non mi trasformavo anche io in una formica dalla gioia!
Perchè ho adorato Safier in "La mia famiglia e altri orrori", tanto che ho sentito il bisogno impellente di leggere qualcos'altro di suo (e ora tutti i suoi romanzi sono nella mia infinitamente lunga lista desideri). 
Beh, non sono rimasta delusa. La trama di per sè è semplice semplice: Kim, spietata conduttrice televesiva, fa di tutto per primeggiare, eliminando la concorrenza in qualsiasi modo.
E quel malaugurato giorno, sta proprio per ritirare un premio importantissimo per la sua carriera, mancando il compleanno della figlia Lilly che festeggerà con il papà Alex - incavolato nero con Kim per essere così assente.
Dicevamo... Kim ritira il suo premio e finisce dritta nelle lenzuola di un collega. La punizione divina tuttavia non si fa attendere e la donna lascia questo mondo colpita dritta sulla testa da un lavabo russo.
Poi si sveglia. In veste di formica. E viene accolta nella sua nuova vita da una formica cicciona che si rivela essere Budda, il quale la accompagnerà nella scalata delle reincarnazioni, composta da milioni di gradini.
Frizzante, divertente, ironico: Safier non si fa mancare proprio nulla. Esilarante anche l'accompagnatore di Kim, cioè Giacomo Casanova, che sta vagando di corpo in corpo da secoli in attesa di qualcosa che gli faccia ritrovare uno scopo.
Lo stile è inconfondibile: le parole scivolano sulla carta ed entrano nella coscienza del lettore (sto salvando milioni di insetti da morte certa, da quando ho finito il romanzo). La grande potenzialità dell'Orribile Karma della Formica, e più in generale di Safier, è quella di riuscire a far riflettere su temi importanti, senza mai appesantire la pagina e la narrazione.
Certo, sarà anche banale e scontato, però le sue storie portano a galla tutto il meglio dell'essere umano, dapprima imprigionato nella routine, che trascorre la sua esistenza senza più porsi domande, fino a quando non viene obbligato a farsele e a cercare risposte.
Da leggere, per ridere a crepapelle e per capire che la felicità, a volte, sta nelle cose più piccole. Come una formica.
O come la dorifora della patata.

sabato 22 settembre 2012

Un Soffio di Vaniglia tra le Dita - Meg Donohue



Titolo: Un soffio di vaniglia tra le dita
Titolo originale: How to Eat a Cupcake
Autore: Meg Donohue
Traduttore: S. Caraffini
Editore: Garzanti Libri
Pagine: 317
Data di pubblicazione: Maggio 2012
ISBN: 9788811686651
Prezzo: 9.90 €

Sinossi:
Nessuno meglio di Annie conosce la magia di certi ingredienti. Nessuno meglio di lei sa che mescolando un pizzico di vaniglia, una spolverata di cioccolato, qualche fragola e la giusta quantità di zucchero si può cambiare una vita, far nascere un'amicizia, colmare un vuoto del cuore. È stata sua madre a insegnarglielo, è stata lei a passarle la ricetta segreta dei cupcake. Annie era solo una bambina, e si ricorda ancora di quelle sere passate a cucinare nella grande casa dei St. Claire, a San Francisco, dove sua madre faceva la domestica. Quei dolci sono l'unico ricordo che le rimanga della madre, morta troppo presto. E di Julie, primogenita dei St Claire, quasi una sorella per lei. Ma la loro amicizia era finita a causa di un tradimento imperdonabile. Sono passati anni da allora. Annie ha lottato per affermarsi, si è ribellata alle convenzioni, ha studiato per fare della sua passione e del suo talento un lavoro. E ce l'ha fatta. Adesso è tornata a San Francisco e vuole realizzare il suo sogno: aprire una pasticceria. C'è una sola persona in grado di aiutarla: Julie. La ragazza, ormai avviata a una brillante carriera di donna d'affari, si sta per sposare, ma non ci pensa due volte. Aiuterà l'amica, e forse questa sarà la chance per farsi perdonare. Ma funesti e inspiegabili incidenti cominciano ad accadere, uno dopo l'altro. Qualcuno sta cercando di sabotare in tutti i modi il loro progetto. Perché i conti con il passato non sono affatto chiusi. E c'è un segreto che non è stato ancora svelato.

Avevo letto la di questo libro sulla rivista “Il libraio” ed ero rimasta colpita dal titolo estremamente dolce e dalla copertina accattivante, ne avevo letto la trama e, alla fine, lo avevo accantonato col pensiero “Sarà la solita fregatura”.
Poi, poco tempo fa, un sabato pomeriggio ero al supermercato con mio marito per la solita spesa settimanale, ci siamo fermati nel reparto libri, ho visto questo romanzo in offerta e l’ho acquistato. Questo è successo prima delle ferie e la dice lunga il fatto che abbia aspettato così tanto tempo a leggerlo: il sospetto della fregatura aleggiava ancora tra di noi.

E in effetti non è che sia stata proprio una lettura entusiasmante, nonostante la storia avesse un potenziale. La Donohue ci racconta la storia di due donne, Annie e Julia, amiche del cuore fino alle scuole superiori quando, a causa di voci messe in giro da Julia sul conto di Annie, quest’ultima viene sospesa e rischia di non essere ammessa al college.
Ritroviamo entrambe anni dopo, ormai adulte e con la propria vita: Julia è una manager di successo mentre Annie è una pasticcera con un talento speciale, soprattutto per fare i cupcake.
Figlia di una ricca famiglia la prima e di una ragazza madre ecuadoriana la seconda, crescono insieme e diventano amiche per la pelle fino a quando, a causa di un ragazzo col vizio di tenere il piede in due scarpe, la loro amicizia finisce e le due si allontanano in modo definitivo.
Sarà poi una tragedia capitata a Julia a far intersecare di nuovo le strade delle due donne che decidono di aprire in società una pasticceria specializzata, appunto, in cupcake. Saranno poi alcune disavventure a riavvicinare le due ex amiche che, alla fine, ritroveranno l’intesa e l’armonia di un tempo.

Nonostante la trama banale penso che questa storia potesse avere delle buone chance per piacere, invece anche la scrittura è mediocre, la caratterizzazione dei personaggi è dozzinale e spesso i dialoghi e la descrizione dei pensieri irritano da tanto sono insulsi. Più di una volta mi sono ritrovata a pensare di prendere a schiaffi Julia per via dei discorsi vuoti che faceva oppure a scuotere Annie, troppo incline a piangersi addosso.
Tutto questo durante tutta la prima metà del libro, poi, ad un certo punto, la narrazione migliora anche grazie al racconto di alcuni avvenimenti meno insignificanti rispetto a tutti gli altri narrati in precedenza. Insomma, un’occasione sprecata secondo me perché poteva essere un romanzo davvero meno insignificante, seppur leggero.

E poi parliamo del titolo: in lingua è How to Eat a Cupcake che da noi diventa miracolosamente Un soffio di vaniglia tra le dita. Mi spiegate il senso, tanto più che non c’è nemmeno un cupcake alla vaniglia o un bastoncino di vaniglia o dell’estratto di vaniglia in tutto il libro?